Duemilasette

2007, [cliccateci sopra per ingrandire]

Puntuale come ogni anno arriva di questi tempi quell’odioso finto buonismo imperante (cagatevi in mano e prendetevi a schiaffi, solo perché siete finti, non perché siete buoni), spuntano anche le immancabili classifiche musicali che riassumono l’anno che sta per terminare. Io di sicuro non riesco a farne a meno.

Ma come, in tutti questi mesi, non sei riuscito a trovare 20, dico 20, dischi che ti abbiano entusiasmato tanto da inserirli in una classifica di fine anno? No.
Anzi, vi dirò di più. Uno di questi sarebbe potuto essere, non tanto perché questo sia stato un anno deludente, Happy Hollow dei Cursive, che è un disco del 2006. Così come in quella del prossimo anno. E di quello dopo ancora. Perché l’album di Tim Kasher è un disco fondamentale ed epocale per il sottoscritto.
Eisenberg scriveva e io cito a memoria, quindi sicuramente sbaglio: “Ascoltare un disco è come assistere ad una seduta spiritica, dove ognuno evoca i propri fantasmi”.
Allora ecco le emozioni musicali (e non solo, non lo potrebbero mai essere) di un intero anno.

I Wilco hanno, come al solito, dato la merda a tutti. Con un disco stroncato da Pitchfork (perché probabilmente troppo classico e poco sperimentale nei suoni), sito che va molto in voga tra noi studenti-lavoratori giovani e ribelli... Una nota di merito, quindi.
Ha un tratto in comune con l’opera degli Okkervil River, trasmette la stessa sensazione. Solarità. Evento che, per due soggetti come Jeff Tweedy e Will Sheff, è un po’ una congiunzione astrale.
Del disco di Eddie Vedder ne ho già scritto; qui dico solo che c’è senza pregiudizi. Perché è un bellissimo disco folk. Perché la sua voce è come sempre per me accogliente, la voce di un amico che è sempre un piacere sentire. Sensazione di calore e sicurezza. Essere a casa.
Nonostante ciò che si millanta in giro, ovvero di una mia presunta passata infatuazione per O.C., Jacob Golden non l’ho scoperto grazie alla colonna sonora del telefilm. Mi si è presentato davanti come un pugno in faccia, cercando di Elliott Smith (che iddio lo abbia in gloria). Ascoltandolo capirete perché. Un vero gioiello, intimo e triste.
Non triste quanto i testi, i soliti da vero e alto narratore e da mandare giù a memoria, dei Bright Eyes; ma Conor Oberst lo conoscevo ed amavo già. Sapevo che non avrebbe potuto ripetersi nella perfezione di I’m wide awake..., ma è stato molto più di una semplice conferma.
I Two Gallants ho paura che faranno sempre lo stesso disco, ma quegli arpeggi nervosi sono stati compagni di lunghi momenti.
Così un po’ come avviene ormai per le composizioni del collettivo canadese dei Broken Social Scene, capitanato sempre più da Kevin Drew (questo dovrebbe essere considerato un po’ il suo disco solista), nel cui disco però ci sono alcune perle di cui pochi sembrano essersi accorti.
All’opposto c’è la nuova creatura di Damon Albarn, i The good, the Bad & the Queen, spiazzante e per nulla immediata. Nota ricchiona: vorrei essere bello come l’ex giovine sbarazzino di Leytonstone.
Insolito un po’ come il disco dei Menomena, che però è meno oscuro, quasi divertente. E Wet and rusting (mp3, tasto destro. da qui), con la sua batteria sincopata, mi ha fatto muovere il piedino a tempo innumerevoli volte.
Boxer dei The National contiene invece una canzone come Fake Empire, che ho ascoltato più di quanto previsto dalla Costituzione. Anche molto di più.
I Rogue Wave forse li ho semplicemente ascoltati molto. I Sigur Rós ci sono non solo per l’ep che ripropone alcuni brani in chiave acustica, altri li riarrangia, altri li presenta nuovi di zecca, ma soprattutto per il dvd che ripropone l’avventura del tour islandese, suonato in contesti meravigliosi ed evocativi, quanto la loro musica.
Bishop Allen è stato un raggio di sole, gli Spoon il perfetto gruppo pop.
E gli Arcade Fire? Stending ovèscion. L’epicità di alcuni passaggi, il rock come solo Springsteen sa fare, una cascata di suoni, piano ed archi nel finale della splendida Ocean of noise. Tensione alta e costante. Il disco dell’anno. Forse.

- Concerto dell’anno: Damien Rice, Roma
- Disco più rivalutato del 2006, ma-chi-me-l’avrebbe-detto-mai: sì ancora lui, 9, Damien Rice
- Canzone dell’anno che più mi ricorda del mio ammore: I’m a soldier, The Afghan Whigs. Più che altro un tormentone
- Canzone che mi ha più rappresentato: Either way, Wilco (leggetevi il testo)
- Disco che piace a tutti però che palle a me riesce ad annoiarmi: In rainbows, Radiohead
- Canzone più intensa ed emozionante dell'anno: All I need, Radiohead
- Quella che in macchina mi ha fatto cantare di più a squarciagola: Four winds (mp3, tasto destro. da qui), Bright Eyes


Ma come, non hai messo quello, hanno fatto un disco della madonna?! Eh, scrivetelo voi, ché non mi viene il nome...
Ma come, e i You broke my balls, con cui hai rotto le balle tutto quel tempo? Oh, lo sapete che sono instabile. Magari scorrendo la lista lo ritrovate pure.

In rigoroso ordine sparso e confuso (ma non troppo).


1_ Sky blue sky, Wilco / Neon bible, Arcade Fire

3_ Cassadaga, Bright eyes

4_ Into the wild (o.s.t.), Eddie Vedder

5_ Revenge songs, Jacob Golden

6_ The stage names, Okkervil River

7_ Boxer, The National

Spirit if..., Broken Social Scene presents Kevin Drew _ s/t, Two Gallants _ The broken string, Bishop Allen _ Asleeep at heaven’s gate, Rogue Wave _ s/t, The Good, the Bad & the Queen _ Ga ga ga ga ga, Spoon _ Friend and foe, Menomena _ Hvarf/Heim + Heima (dvd), Sigur Rós

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