De tanta e tanta ggente...

Esterno sera, che è pure interno stadio. Nel prepartita c’è un Giacomino che in vena logorroica indossa le vesti dell’essere fastidioso che importuna il prossimo costretto nel suo posto tra la folla, senza via di scampo.

G: È meglio vivere di speranze tradite che di basse aspettative, almeno puoi svegliarti la mattina con entusiasmo aspettando qualcosa. Avessimo solo ‘sta squadra nelle nostre vite, saremmo costantemente depressi: dopo il disastro dell’anno scorso ci ha tolto anche l’emozione viva dell’attesa, il primo dolce pensiero della mattina ispirato dall’entusiasmo...

Vdp: Ma de che? Io c’ho solo l’aesseroma!

G: Ehmm... Un Capitano, c’è solo un Capitano, un Capitaaaano, c’è solo un Capitaaano!

Cose da fare sulla spiaggia ad agosto

Giocare a racchettoni sul bagnasciuga, socializzare con i vicini di ombrellone, prendere un gelato al chiosco, dormire all’ombra su uno scomodo lettino ma con il dolce rumore delle onde che si infrangono sulla costa come sottofondo, leggere un bel libro, prendere un po’ di sole, fare il bagno (se non ci sono escrementi che galleggiano), rilassarsi, partecipare ad un’accesa e profonda discussione su scienza, letteratura e pippe mentali commentando il post di un interessante blog, consigliato direttamente dai Wu Minchia -il collettivo di scrittori che ci invidiano persino nell'East Village-. Cose così.
Dai, partecipate anche voi al gioco più divertente e spensierato dell’estate (ah, io nei commenti mi firmo “dufresne”)!

Words cannot tell how much I love you. So forget it. (Snoopy)



Se credete sia cosa buona e giusta scrivere qualcosa di bello, fresco e positivo sulle vacanze appena trascorse, significa che voi non siete rientrati questa mattina in ufficio e che nella vostra città non ci sono quaranta fottutissimi gradi.
In sintesi, le mie vacanze possono essere riassunte in questa foto, scattata con il cellulare: il Golfo di Policastro. Tutto il resto è gioia.
Accontentatevi.

Diario di un ipocondriaco [un altro post scritto al cellulare, quindi male, #2]

Il mio medico di famiglia mi odia. L’ho capito dal suo sguardo assassino stile Shining. Appena mi vede saluta distrattamente e un secondo dopo realizza chi sono: - “Ancora tuuuu?”. Se avesse avuto una pistola, l’avrebbe certamente usata contro di me: il tempo che si ferma, gli sguardi di sfida intensi che ci scambiamo per dimostrare chi è il più veloce pistolero del Far West, sabbia che vola in alto formando spirali, la musica di Morricone in sottofondo. Non me la sento di escludere che come alternativa abbia pensato di usare una di quelle siringhe che custodisce in quel contenitore in acciaio sterilizzato da ospedale che mi ha fatto sempre più impressione dell’ago, infilandomela nel collo e premendo lo stantuffo o comecavolosichiama, mandandomi in circolo qualche litro d’aria e vaffanculo, amen, - “Ha finito di soffrire e di rompermi le balle”. Credo che solo la presenza di numerosi testimoni in sala d’attesa l’abbiano scoraggiato dall’insano gesto e forse anche l’idea di veder trasformato il suo studio medico in un plastico al centro di uno studio televisivo, tra due ali di poltrone occupate da opinionisti del nulla, psicologi falliti e giovani fanciulle scosciate.

Lui, il mio nemico, non ha una grafia come quella che ti aspetteresti da ogni buon medico, incomprensibile quanto un qualsiasi enigma della Sfinge. Sono cresciuto con quelle prescrizioni che per tutti erano aramaico antico, persino per il farmacista; erano quasi il segno di una conoscenza che pochi eletti potevano vantare, donavano al dottore un’aurea da illuminato. Ora le prescrizioni hi-tech, le ricette stampate con il pc, ti tolgono tutto il gusto di poter leggere, fino alla decifrazione delle singole lettere, qualsiasi cosa tu voglia o pensi possa esserci scritto. Ti diagnosticavi, finché il medico non avesse aperto bocca o chiarito il tutto in seguito ad una tua richiesta, tutte le malattie che i tuoi studi ti permettevano di leggerci. Altro che quelle caramelle/compresse o innocue visite da uno specialista. Alla faccia del duepuntozero. Ora è tutto più prosaico: su quei fogli rosa sembra tutto un copia&incolla da qualche enciclopedia medica online, altro che sapienza scientifica derivante da anni di studi e sacrifici.

Il nostro è un rapporto che si è incrinato circa 147 (inutili) visite fa. Molto prima che con il suo stetoscopio giocattolo visitasse mio nonno trovandogli una leggera bronchite, mentre in realtà aveva il polmone destro completamente collassato. Ma forse non è colpa sua, forse su YouTube nessuno ha ancora caricato qualche video didattico sull‘utilizzo di certi strumenti.

Ora il nostro rapporto può riassumersi nelle seguenti consuete e tragiche sei fasi.


Prenoto la visita
Lo faccio sotto falso nome. Mi spaccio alternativamente per mio fratello, mio padre, mia madre, mia zia, mia nonna ed il cane. Sono sicuro che la segretaria sotto la scrivania abbia una blacklist dei pazienti indesiderati ed io sono il primo nome perché l’ordine alfabetico non mi avrebbe reso giustizia. Tanto l’importante è prenotare il posto, la visita, l’orario. Poi mi presento io: - “Tadaaaaaaaa, sorpresa!”

L’attesa
Una volta gabbati segretaria e medico, mi presento con un tremendo anticipo sperando che si liberi un posto e che mi possa visitare subito, data “l’urgenza” della mia situazione. Ovviamente, una volta presentato di persona, salta la copertura e il medico fa di tutto per dilatare le altre visite e ritardare l’incontro, che avverrà almeno 75 minuti dopo il previsto. Cerca di prendermi sullo sfinimento, ma io non demordo.

La sala d’attesa
Inganno il tempo, ma non il medico, facendo amicizia con tutte quelle vecchie timorate di Dio che pregano e pregano per una grazia sui loro malanni, ma che, giustamente, non disdegnano di farsi aiutare dalla scienza, ché se aspettano che cali una mano dall’alto...
Mi sento a mio agio, o almeno mi sforzo di esserlo, e per distogliere la mia attenzione dal nervosismo e dagli esiti certi della visita -certamente nefasti, li prevedo come se fossi una novella Sibilla Cumana-, do corda a tutte quelle persone che in altri contesti farei finta di non sentire e/o non vedere o come minimo mi farebbero alzare gli occhi al cielo seguiti da un sospiro. Si parla del tempo, degli immigrati, alimento la loro sete di razzismo istigandole sul caso di quell’islamico che ha fatto un qualcosa che non-va-bene-no-no e ricevo ancora più attenzione: bene così. Ah, signora mia, quell’arabo l’hanno condannato a tre anni, ben gli sta! In realtà l’hanno assolto, ma il finale di quella storia non è per niente funzionale alla mia strategia di sopravvivenza. E poi la sicurezza che non c’è più nelle strade, il roast beef che se non lo bagni come si deve si asciuga troppo e diventa secco, la X (metteteci voi il nome della vostra star femminile televisiva del momento) e le Vel*ne e tutte queste svergognate che non sono timorate di Dio e fanno le sciacquette e non ci sono più le ragazze serie di una volta, che invece mia figlia è spostata e ha già due bellissimi bambini che sono un amore, guardi, ma un amooore, perché mia figlia li cresce con sani ed onesti principi e li porta tutte le domeniche in chiesa. Poi mi viene in mente di aver visto sua figlia su YouPorn l’altra sera, però glisso e cerco di non pensare allo scandalo della sua presenza nella sezione “Teen”, quando io so benissimo che ha almeno 28 anni, dato che è cresciuta nel mio palazzo.

L’incontro/scontro con il medico
La resa dei conti finale. Siamo io, lui, la segretaria e altri due pazienti in attesa, ché tre arrivati dopo di me li ha fatti passare avanti, ma cinque sarebbero stati troppi.

- “Allora, vediamo, cos’ha questa volta?”
- “Sempre lo stesso, dottore. C’è questo cuore che si ostina a battere e...
- “Eh...”, segue un suo sospiro che di sicuro fa il paio con quanto ho intuito prima: le pistole e la siringa.

Perché non parla? Perché si limita a quell’espressione che indica un pianto imminente e ad alzare entrambi i palmi delle mani volgendoli al cielo, come in una sorta di accorata preghiera a chiunque sia in grado di far finire questo strazio -che poi sarei io in person, lo strazio-? Non lo sa che durante questi silenzi io non faccio altro che autodiagnosticarmi tutti i mali del mondo? Il numero di autodiagnosi è direttamente proporzionale ai secondi passati qui dentro. È come una molla: si carica di energia potenziale ed esplode in tutta la sua potenza. Io sono altamente specializzato nei malanni del cuore.

- “Vede, forse dovrei aspirare ad essere di più come un filosofo. Schopenhauer diceva: «Che cosa è che fa il filosofo? Il coraggio di non tenersi nessuna questione sul cuore». Io forse ne tengo troppe: lo appesantisco.”
- “Venga con me...”, si alza. “Venga con me, andiamo”, mi invita a seguirlo con un movimento della testa.

Dove mi porta? Vorrà mostrarmi un macchinario ultra super tecnologico che, con un clic e senza essere invasivo -mai metterete le mani o qualsiasi altra cosa dentro il mio corpo, bastardi!-, riesce a monitorare con il 100% della precisione lo stato del cuore?

- “Guardi...”
- “Maaa...” Dove? Dove devo guardare? Io vedo solo una porta, maledetto ciarlatano. Cos’è, un trucco da alchimista?
- “Non la porta, sopra la porta! La vede la targa? C’è scritto «Dott. Zoidberg, Specialista in Medicina Interna». Non sono un fottuto santone zen!”
- “Su, su, coraggio, accetti le cose per come stanno. Lei non ha modo di evitarmi. Quanti ce ne sono come me? Non sono neanche un peso tanto grande per il S.S.N.: le medicine che mi segna non le prendo mai, ho paura anche di quelle...”

Ecco, è questo il punto. La vita di un ipocondriaco trascorre nella più assoluta normalità: prende l’aereo, guida, va al lavoro, esce con gli amici, tromba. Il mostro insàid esce allo scoperto quando si parla di salute o malattie o, nel peggiore dei casi, quando deve fare una visita. È di tutto questo che si nutre. E il vero ipocondriaco non prende medicine, perché pensa gli possano far male.

Questa volta però ogni cosa sembra essere diversa. Mi scrive la prescrizione, finalmente incomprensibile come quella di ogni buon dottore che si rispetti, una di quelle che richiedono dimestichezza con il Codice di Hammurabi, ma in questa occasione anche di più. Lo fa apposta, ne sono sicuro. Nei suoi scarabocchi vedo forme e messaggi strani. Ma il foglio era semplicemente al contrario. Noi ipocondriaci abbiamo il senso spaziale totalmente sballato: è il panico che ci guida prendendo possesso dei nostri occhi. Lo gira e tutta la Verità mi è ora rivelata: PROF. X, SPECIALIZZATO IN IPOCONDRIA PERSECUTORIA.

La sentenza (conosciuta anche come La diagnosi)
- “Ci vada, è un mio amico ed è uno dei maggiori specialisti in Italia.”

Il dileggio e l’insulto, ovvero l’ultimo rifugio di un colpevole
Maledetti uomini di Scienza, andate a cagare voi e le vostre teorie. Voi nelle stelle ci vedete solo corpi celesti, io quelli e tante poesie.


Prove tecniche di trasmissione (un post scritto al cellulare, quindi male)

Qui le stelle sono tantissime. Vorrei poter riuscire a imprimere e conservare in ognuna un volto, un odore, tutte le onde trasparenti che si infrangono, i ritmi diversi della vita, le risate, le nuvole sulla montagna a lei tanto cara. Poterli così rivedere anche quando sono lontano da qui, in una notte senza luna. Non so se bastano tutte le stelle. Non so se ho voglia di tornare a casa.

2 Av 5771

Il mio futuro editore e i miei due (!) agenti mi chiedono una prova della mia buona volontà e dell’attività (frenetica?! facciamo finta che lo sia, dai) in corso sulla stesura del mio primo racconto. Pur non sapendolo assolutamente fare. Ma, dato che sto tentando di cancellare la frase “non ci riesco” dal mio vocabolario, sto provando anche a portare avanti il mio sogno/progetto, senza aggiungerlo alla catasta di fallimenti prima del tempo dovuto.

Beh, ecco in anteprima per voi un frammento (ora avete la prova, vi prego: non spezzate al mio amato WALL•E anche l’altro braccio):

[cliccateci pure sopra, ma siate clementi]