Come il primo giorno

Avete presente la scena stereotipata che nei film accompagna chi se ne sta andando dall’altra parte, quando tutta la vita trascorsa scorre davanti agli occhi, passando veloce? Ecco, è più o meno quello che ho provato vedendo questo trailer -se per voi non sta parlando della mia vita, non avete idea di quanto vi state sbagliando-. E la cosa bella è che non sto morendo, anzi, mi sento così pieno di vita come mi capita quando assisto a qualcosa di bello, unico ed irripetibile. Uno di quelli intimi ma così universali da poter essere condivisi; lì fuori posso persino trovare qualcuno che può capirmi.
Vederlo è stato un ripensare il concetto di tempo e spazio. Due minuti e trentasei secondi è il tempo necessario a farmi capire che absolutely nothing's changed: che io sono lì, con loro, e che tutto è ancora come il primo giorno.

"E dalle loro bocche usciva fuoco e fumo e zolfo" [un post con un lieto fine, nonostante tutto]

Nel mio quartiere tolgono l’acqua per 24h.

- Hai fatto scorta di acqua minerale?
- Sì, mà, 6 bottiglie da 2 litri.
- Ma sono poche!
- Sono pochi 12 litri per due persone? Non andiamo a fare la Maratona di NY… Però, se ti consola, sappi che ho comprato due taniche da 20 litri per poterci lavare.
- Ok, mi hai convinto. E le candele?
- Mamma, chiudono l’acqua, mica staccano la corrente elettrica!
- E vabbè, non si sa mai in questi casi…
- Non si sa cosa? Sono due cose diverse. Anzi, opposte. Come fanno a fare i lavori senza corrente? Sono due cose talmente diverse che se le metti insieme fanno scattare un corto circuito e scoppia un incendio e…
- Ecco, potrebbe andare a fuoco la Stazione!
- …
- Pronto? Pronto? Che stai facendo? Non ti sento…
- Scusami, stavo facendo degli scongiuri volgari che non vorresti vedere: mi servivano entrambe le mani e così ho posato il telefono.
- Ah, ma tu non eri quello “non sono superstizioso, quindi non mi faccio il segno della croce, figuriamoci quanto prendo in considerazione le altre cose scaramantiche”?
- Sì, ma di solito nessuno mi predice per telefono l’Apocalisse a due passi da casa mia.

Poi mi vengono a chiedere le origini delle mie ansie. Basterebbe parlare per cinque minuti con mia madre per evitare questa domanda inutile.

Alla fine l’acqua esce come sempre dal rubinetto e la corrente elettrica che mi consente di scrivere minchiate sul blog c’è ancora. Però l’Apocalisse è arrivata veramente, annunciata non dalle trombe, ma da una soffocante colonna di fumo.

Dieta dissociata per dissociati mentali

Se dopo due mesi di dieta pesi ancora 86 kg., le cause potrebbero essere:
a. la bilancia si è rotta;
b. la dieta te l’ha prescritta Poldo;
c. 5 dei tuoi 7 pasti giornalieri;
d. i pacchetti di crackers che durante il giorno mangi per bloccare i morsi della fame e che, messi insieme, costituiscono un altro pasto, abbondante;
e. i cornetti pieni di burro tutte le mattine, che tu chiami “un piccolo strappo alla regola”;
f. la bilancia, dovresti eliminarla, perché un albero che cade in una foresta dove non c’è nessuno, etc..

Sono cinque anni che non piove

Ero solito cercare un porto nella tempesta. Nel caso fortuito lo avessi trovato, la conseguenza sarebbe stata inevitabile: àncora pesante sul fondo a bloccare la barca in un luogo sicuro lontano dalle onde, per poi vivere sulla costa, sempre pronto a salpare all’improvviso, anche in piena notte. Così ho sempre vissuto, quelle rare volte che l’ho trovato, per la solita poca fiducia che un approdo sarebbe durato.

Poi ho capito che la vita non è trovare una salvezza sicura, ma cercare la felicità. È il lasciarsi andare, togliere le tende dalla spiaggia e seguire l’aquilone portato via dal vento. Così cinque anni fa ho trovato un porto, proprio mentre non lo stavo cercando: cercavo la felicità. E poi ho fatto quello che dovevo fare, ché non è restare sulla costa per paura che tutto finisca, ma è lasciare i freni emotivi, sabotarli, con lo stesso entusiasmo ed ingenuità del bambino che segue l’aquilone, occhi puntati verso l’infinito.

Le cose belle non si trovano per terra, ma alzando lo sguardo al cielo, dimenticandosi del perché un giorno, lontano, si era alla ricerca di un riparo. La felicità è dimenticare che esiste un mare dove c’è il rischio di perdersi, perché...


P.S. You rock my world (cit.)

Con le unghie e con i denti

Ieri, interno giorno. A quella commessa della profumeria tutta sorrisi e gnègnè vorrei chiedere se il suo lavoro le piace veramente così tanto come ostenta o se in realtà, come penso, la costringano a presentarsi e comportarsi in quel modo. Comprerei quello che mi serve anche se tu fossi gentile con me in modo sobrio. In realtà anche se fossi scazzata, perché è come dovresti essere e ti capirei. E poi tanto quel prodotto lo prenderei anche se fosse superfluo, me lo ha detto la pubblicità. Ma non guardarmi così... Anch’io, sai, sono incazzato per il mio merdoso lavoro: straordinari (fissi) non pagati (fisso), stress acuto e responsabilità non corrisposte con adeguati fogli di carta colorati.
Ma lei insiste e mi elenca, ovviamente mentre sta ridendo, tutte le proprietà dell’acetone, che questo è più delicato, che questo non sfalda le unghie... No, dai, ma non lo vedi che non è per me? Chiccazzosenefrega se non rovina le unghie. Se LEI mi ha chiesto questo, magari se le vuole far cascare le unghie. Intanto nella mia mente gonfio sempre più il petto e tronfio declamo: spezza le catene dell’oppressione! Ma lei non riesce a leggere nel mio sguardo e mi passa un altro prodotto, pensando sia di mio gradimento essere aggiornato su tutte le caratteristiche che ha e anche quelle che non ha, tanto nessuno lo controllerà mai.

Il dubbio comincia poi ad insinuarsi, seguito da un senso di fastidio per aver realizzato che, quando sono nervoso, sono più acido di uno yogurt andato a male: altro che catene, se qui qualcosa rischia di spezzarsi per lei sono solo le unghie. Così tento un ultimo gesto estremo, tiro fuori la mano dalla tasca e le spiattello in faccia le mie schifose dita smangiucchiate, perché sì, sono tre anni che non fumo e in qualche modo devo pur sfogarmi (e poi non sono così malridotte, suvvia). Lei, come previsto, inorridisce; forse ha capito che mi girano le palle e che con me, almeno oggi, non avrà successo. Ma è un attimo, non serve a distoglierla dal suo obiettivo, il compito supremo cui è legata sotto la minaccia del licenziamento: vendermi quanti più prodotti, ovviamente mentre la sua bocca prende la forma di una mezzaluna che a me, ormai assuefatto, ora sembra un ghigno. Subdolamente mi lusinga dicendomi che ho delle belle dita affusolate, sorvolando su quelle pellicine che sembrano prese a morsi da un barracuda e invece sono stati i miei denti. Una vera professionista ‘sta ragazza, penso. Denti ed unghie non dovrebbero mai incontrarsi, me lo immagino così il suo motto -che sarebbe anche abbastanza condivisibile-.

Poi la mia mente, che ormai vaga indisturbata verso un modo migliore, si ferma a riflettere. Ma chi cazzo mi credo di essere, il salvatore del precariato, sfruttato e represso? L’asceta consapevole che vuole salvare la sua anima e così sia? Che siamo tutti uguali e tutti dovremmo avere tutto? Però non siamo tutti uguali e quindi, anche se non siamo né migliori né peggiori, siamo sicuramente diversi. Quello che non è uguale è diverso, beh, logica inattaccabile, anni ed anni di studio della filosofia. Proprio per questo non ci sentiamo tutti sfruttati e alcuni ridono sempre quando sono sul luogo di lavoro, semplicemente perché quel posto garantisce loro tutto quello che vorrebbero avere. O forse hanno solo imparato ad accontentarsi, che è un po’ come rinunciare ai desideri e far morire una parte di quello che ci portiamo dentro. Ma ognuno decide di realizzarsi come vuole: può essere cosciente di quello che (non) ha e contemporaneamente essere sempre allegro. Vorrei riuscirci anch’io, veramente.

Perciò, quando mi ha rivelato finalmente e senza esitazioni tutto il suo mondo, chiedendomi se di solito uso uno smalto scuro o chiaro e poi confessandomi candidamente, così innocentemente che il mio sguardo poteva passarla fino a riuscire a vedere dall’altra parte, che una volta ha usato il solvente e poi si è messa un dito in bocca e ha quasi vomitato per il sapore disgustoso, ho capito che non aveva lacci da cui sciogliersi, né che era legittimamente soddisfatta di quello che aveva. Era solo, questa volta veramente uguale a tanti, stupida.

Please don't leave me to remain in the waiting room

Alcune cose che mi sono ballonzolate per la testa mentre lei era sulla poltrona del dentista e io su quella meno comoda, ma preferibile, della sala d’attesa.
Un post per punti, che nel 2011 sono in pratica una serie di tweet che mi rompevo di sintetizzare e pubblicare singolarmente.

01. Se la sento ancora urlare, entro nella stanza e prendo a pugni il dentista.
02. Perché ci sono solo orrende e superficiali riviste femminili qui? Mica siamo dal ginecologo...
03. Ah, no, c’è anche una rivista su Padre Pio. Sob.
04. Sia chiaro, sono inutili anche le riviste “maschili”.
05. C’è un articolo su Ben Harper, eletto il «musicista più sexy del mondo». A parte la tristèss della cosa in sé, fosse solo per la musica ormai non pubblicherebbero un articolo su di lui neanche sulle riviste musicali.
06. Quando ero piccolo adoravo le sale d’attesa: le pagine delle riviste erano una fonte gratuita, certa ed inesauribile di tette e culi al vento, neanche troppo nascoste.
07. Le spese dello strappa-denti finiremo di pagarle nel 2025. Quasi quasi, anche se lei non urla più, entro lo stesso, lo prendo a pugni e scappiamo di corsa senza lasciargli i nostri sudati soldi.
08. Certo che la cosa di prendere a pugni in questo caso non era proprio necessaria... Tra l’altro non ho mai dato neanche uno schiaffo in vita mia e, conoscendomi, ne uscirei con almeno sette falangi rotte. Ok, lo mando affanculo e ce ne scappiamo con lei che urla perché ogni passo di corsa è una fitta nel dente che non c’è più.
09. Forse dovrei farlo un controllo, visto che l’ultima volta che un dentista ha messo le mani nella mia bocca è stato vent’anni fa; no, dico sul serio, era proprio il 1991 e le mie due carie di allora sono rimaste le uniche fino a tre anni a questa parte...
10. Pensieri nefasti si addensano su di me e come un nuvola fantozziana mi annunciano che, se non intervengo subito, la nuova carie, che poi tanto nuova non è, andrà a scavarmi il dente fino a raggiungere la radice, passando poi alla mandibola e in seguito mi uscirà dal collo, fino a, probabilmente e plausibilmenteperchéno, bucarmi anche il petto.
11. Lo pseudo-racconto che sto scrivendo procede alla velocità di un bradipo, ma almeno sta venendo fuori un po’ meno frivolo e più profondo di un libro di Fabio V*lo. È facile, direte voi, e infatti questo è solo uno stratagemma che usiamo noi ggiovani e modesti scrittori falliti per incoraggiare la nostra self-esteem: piccoli mezzucci a beneficio del nostro ego.
12. Perché ci siamo scelti un dentista dall’altra parte della città?
13. Già non vedo l’ora che tu possa aprire la bocca dopo l’operazione. Perché ciò significherebbe che tutto sia passato e perché tutte ‘ste riviste mi hanno fatto venire una voglia tremenda di limonare duro. Harr, harrr.
14. Ho sentenziato che Google+ fallirà perché ha troppi punti di contatto con Facebook, anche se è molto più ampio nelle funzioni e nelle potenzialità ed è anche più profèscional. Ma su Fb non scrivo dal 1998 (sì, questa è solo una data per fare il sympa), quindi potrebbe essere notevolmente cambiato e il mio resterebbe un paragone basato sul nulla. Comunque ancora devo capire perché su Fb certi eventi o gruppi ti costringano ad effettuare il login per poter visualizzare la pagina con le info che ti interessano: è un modo come un altro per contabilizzare le visite (ma ignoro se sia possibile)? Mah..
15. Ho appena ottimizzato il blog per la visualizzazione su dispositivo mobile, sì, insomma, quel coso con i tasti che ci portiamo appresso e con il quale navighiamo su internet e che ogni tanto usiamo anche per chiamare gli altri.
16. Non lo leggete neanche a casa, sui vostri schermi HD al led da 52”, quindi dubito che lo farete sul cellulare...
17. Se è pur vero che l’hardcore wasn't doing it for me no more, in alcuni contesti non riesco ad evitare di pensare a Waiting room dei Fugazi, anche se questo non è esattamente un carcere: infatti lei esce, io mi alzo, le sorrido, le do un bacio sulla fronte e ce andiamo. Però prima paghiamo, lo giuro.
18. Ultimo punto.

Gelato al cioccolato



Istruzioni per l’uso: stringi con la tua manina di tre anni una palla di gelato al cioccolato, distendi per bene le tue minuscole dita e fai aderire il palmo per alcuni secondi al muro più vicino a te.