Dai, poche palle, anche se qui c’è anche tanto rock e punk, chi mi conosce lo sa che non supporto, né sopporto, il dub, il reggae'n'roll, lo ska, i testi politicizzati da centro-sociale-figlio-di-papà, e vabbè, continuate voi.
Però Francesco Di Bella possiede un qualcosa che manca a molti altri, un dono che in pochi hanno il privilegio di avere: il talento. Quello vero, quello che te lo fa invidiare ogni volta che premi il tasto play o che lo vedi salire sorridente su un palco. E forse perché è molto più di tutto questo: anche se ad uno sguardo od ascolto distratto potrebbe sfuggire, è un cantautore. Come la chiamereste la poesia dei suoi testi?
Praticamente un one-man show di quasi due ore, che ti fa capire come i 24 Grana siano sempre più la creatura di questo piccolo scugnizzo. Come nel disco, così nei live. Sarà pure un tossico a volte barcollante, ma con tutto il carisma che si ritrova potrebbe reggere il palco benissimo da solo. Si agita, balla in modo improbabile, si fa passare le canne dalle prime file, si lancia sopra la folla, e, ogni volta che apre bocca per rivolgersi al pubblico lo fa in dialetto, trasudando, ad ogni parola, amore per la sua città. Roba che se lo facesse qualcun altro cantante, penserei sei simpatico uno, sei simpatico due... invece lui riesce ad essere perfino malioso, con la sua sincera e tormentata vena e quegli occhi vivaci, che in molti, ammettetelo, pensavano di trovare spenti.
Mannaggia a me che non ho portato la reflex. Vabbuò, tanto non le avrei mai fatte così belle; la foto l’ho presa da qui. Momento miele: cantare insieme, emozionati e stretti in un abbraccio, Kevlar.