Two more years, two more years, to hold on (cit.)

Ecco, ci risiamo, tra poco più di due settimane saprò cosa mi riserva il mio futuro lavorativo. La società per la quale lavoro dovrà affrontare una nuova gara d’appalto; perdendola, si scatenerebbe un effetto domino che si schianterebbe direttamente sulle teste di noi poveri lavoratori precari.
E sinceramente non scambierei mai la mia condizione di lavoratore sfruttato e represso con l’immaginario tipico del fan-cats-ist à la Oblomov, perché non mi si addice proprio, nonostante nei momenti di maggiore stress la aneli prepotentemente.
Perché, in fondo in fondo, penso che il contributo che possa dare a questa società non consista solo nel lavarmi i denti tre volte al giorno, farmi la doccia tutte le mattine, essere educato, fare raccolta differenziata con ogni tipo di rifiuto o comprarmi i ciddì dopo averli sca*icati (solo quelli più belli, eh).
Se tutto ciò dovesse avverarsi saranno veramente cazzi. Cazzi dovuti al mix letale composta da perdita-di-lavoro più mancanza-di-soldi.
E questa sorta di finta maschera di cinismo che mi faccio cadere addosso non basterà di certo a proteggermi questa volta. Che poi in questo momento dovrei già essere in qualche paese dell’est europeo, impegnato in un programma di sviluppo economico agli ordini di un qualsiasi istituto pubblico di collaborazione internazionale, con uno stipendio immorale pagato da voi contribuenti. Ma questo progetto, per colpa mia, è ancora un sogno. Ora lo stipendio immorale ce l’ho, ma in un altro senso, con buona pace dei mammasantissima del sindacato, per i quali non esistiamo e quindi se ne fottono allegramente di quelli nella mia condizione.

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