Consigli per gli acquisti (prossimi)

Il mio nuovo smartphone spiegato a mio fratello: Android 2.2, 3 Megapixel con iso 400 e bilanciamento del bianco, touchscreen capacitivo, wi-fi, non molto alta l’autonomia della batteria fino a 100h in stand-by e 4h in conversazione, memoria interna da 170MB, ma espandibile fino a 32 Gb e MicroSD 2 da GB in dotazione. Ma soprattutto nel complesso molto entry level!

Il mio nuovo smartphone spiegato a mio padre: fotocamera 3 Megapixel, wi-fi e ottimo rapporto qualità-prezzo.

Il mio nuovo smartphone spiegato a mia madre: mi connetto ad internet e... no, mà, non l’ho pagato molto, era in offerta!

Il mio nuovo smartphone spiegato a mia nonna: è.. è.. èèèèh (no, non sono Vasco Rossi)… un telecomando.

Avereventanni

Fate finta che io sia un tristone tardo adolescente. In fondo si parla della celebrazione di un ventennale. Fante finta perché in realtà di anni ne ho trenta e la tristezza me la sono lasciata alle spalle da un bel pezzo; tutto il resto potete lasciarlo tranquillamente al suo posto.

Loro ne fanno venti. Io, da quando ho cominciato ‘sta storia in loro compagnia nel giorno che rimasi ammaliato dal video di Alive, ne compio diciassette. Allora possiamo dire che sono quasi maggiorenne e certe cose ora posso scriverle. Ecco, mi sembra ormai chiaro che finiranno per essere la mia relazione più duratura di sempre. Scusa tesoro, ma non potremo mai raggiungerli. Per farlo si sarebbe dovuta verificare una congiunzione astrale potentissima, tale che ci saremmo dovuti conoscere nel millenovecentonovantatre, a trecentottantasette km di distanza, io non avrei dovuto avere tutti quei brufoli sul viso, la pelle così grassa e non avrei dovuto dedicare tutto il mio tempo libero a suonare il basso e a giocare a basket e a calcio, il che avrebbe consentito che tu mi degnassi almeno di uno sguardo.

Insomma, com’è come non è, sono passati venti (diciassette) anni e sarà pure un caso per voi, ma loro sono stati sempre presenti nei momenti cruciali della mia crescita. Qualche segreto e potente motivo deve pur esserci se molti episodi sono in grado oggi di collocarli nel tempo in relazione a un disco o a una canzone che ascoltavo, oppure se Eddie aveva i capelli lunghi o corti, se Mike era grasso o magro e di che colore aveva i capelli: una specie di pietra d’angolo, un prima e dopo. All’inizio avevo anche l’assurda pretesa che potessero mettere un po’ di ordine nella mia vita, che potessero farmi superare senza dolore i momenti difficili. Poi quando capisci che dipende solo da te stesso, che loro non si curano di te -come potrebbero farlo, se neanche ti conoscono?-, ormai sei fregato e ci rimani legato per il resto dell’esistenza. Dovrai muoverti con le tue gambe, ma loro, come dire, aiutano. In fondo ero solo un ragazzino che elemosinava pillole di saggezza e certe cose non cambiano con il tempo: volevo solo la mia dose di felicità e la felicità è meglio prenderla quando ti capita. Forse è proprio questo che è difficile da spiegare e far capire. Il legame imprescindibile, un mix micidiale di emozioni, speranze, grinta, rabbia, disperazione, amore, tristezza, malinconia, lotta, sensibilità, felicità, gioia, illusione, disillusione, insomma di tutti i sentimenti che siamo capaci di provare. Far parte di questo vortice e sentire che non sarebbe possibile altrimenti. Poi passano gli anni e le cose cambiano, si stravolgono e ti travolgono. Ma loro c’erano e ci sono ancora oggi che sei cresciuto, almeno sulla carta d’identità; ma forse nella fase del passaggio all’età adulta con loro non sono mai pienamente arrivato. L’adolescente inquieto come deve essere, con il suo più o meno costante senso di disagio (niente di trascendentale, eh, nulla a che vedere con i ragazzi problematici da film) si è rotto da tempo il cazzo, ha cambiato prospettiva e ha deciso di non incasinarsi più da solo la vita. Se mi guardo indietro e non ho voglia di sbattere la porta in faccia al passato, a quel passato ormai remoto, è anche grazie a loro: ci sono anche quei cinque ragazzi nel mucchio che ha riempito la mia mano -non molto di più-, se prendo tutto quello di buono che c’è stato.

Quando li ho conosciuti, una cosa più di tutte era evidente: per la prima volta non erano un gruppo sempre clone di se stesso, non erano i criceti dentro una ruota, la stessa solfa che si ripete ogni giorno. Erano il calore in mezzo al petto, come quello del sesso in mezzo alle gambe. Il senso di vertigine, un po’ epico. La nausea. Il bruciore allo stomaco. Le farfalle nella pancia, che mai ho sbagliato a scambiarlo per amore, perché era amore. Erano la classica e stereotipata rabbia adolescenziale che si trasforma in qualcos’altro, in qualcosa di migliore. C’era e c’è ancora la celebrazione della vita, con tutte le sue noie e contraddizioni. Chi li ha visti almeno una volta dal vivo sa di cosa parlo.

Mi piace pensare che senza di loro le cose sarebbero andate diversamente, anche se ovviamente e razionalmente non è così. Come se senza la loro musica mi sarei trasformato in un cafone ignorante, stupratore, violento da stadio, figlio di puttana, spietato ultracapitalista inquinatore, nazi-punk, cinico senza scampo indifferente a tutto. Come la prima volta che sono andato a fare la spesa con la busta di tela riciclabile, che mi ha fatto sentire molto sì, cioè, alloraaa, il mio più grande cioè desiderio? sì, cioè la pace nel mondo, cioè ho pensato fosse stato un po’ merito anche loro. Perché così come non cominciamo mai da soli una storia, così quando prendiamo una decisione ci portiamo sempre dentro le parole dei nostri genitori, anche e soprattutto quello che non ci hanno saputo dire, le esperienze, i consigli degli amici, i racconti tremolanti dei nostri nonni, i libri che abbiamo letto, gli insegnamenti che qualcuno ci ha regalato e, at last but not least, la musica che abbiamo ascoltato. Ecco perché stanno nella mia personale libreria proprio lì, in mezzo ai romanzi di formazione.

Ma non ho mai pensato che Eddie fosse stato il primo uomo a mettere piede sulla Luna, né tanto meno che fosse stato lui ad appenderla lì in mezzo al cielo per permetterci di contemplarla e farci sognare. Forse è stata proprio la sua attitudine all’umiltà e la sua riluttanza verso la celebrità a renderlo un tipo di eroe diverso ai miei occhi e non un patetico messia del cazzo. Anche sua era la lingua della mia giovinezza, ma era molto più umano e reale: I shit and I stink, I’m real , join the club.

Anche se il tutto era condito da una buona dose di ingenuità, c’è in fondo qualcosa di più puro di quando, solo nella mia cameretta, ero intento ad imitare i miei eroi? Penso di essermi slogato sette volte le caviglie per suonare il basso à la Jeff, con tutto il corpo proteso all’indietro, ed ho visto una volta mia madre quasi piangere al pensiero che mi fosse venuto un attacco epilettico, ma vaglielo poi a spegnere che ERO Eddie mentre intona l’uh-uh-uh-uh-uh sul finale di Jeremy. Provavo il mio personale stage-diving usando una sedia come palco e il materasso grande dei miei genitori come fosse folla impazzita, bramante ed urlante, ma una delle prime volte, quando non avevo ancora del tutto affinato la tecnica, mi sfracellai per terra. Data la mia evidente ossessione che si manifestava anche fisicamente, sembra quasi assurdo che dopo tutti questi anni mia madre ancora li chiami, seriamente, “i Peggèm” ed io ancora cerchi ogni volta di correggerla, insegnandole la corretta pronuncia. So che non lo imparerà mai, ma vivo sperando.

Certe cose non si decidono. Ci prendono alle spalle, ed è come se conoscessero profondamente la nostra anima. Tutto sembra naturale ed è come se ti fosse stato cucito addosso, anche se potrebbe adattarsi molto bene anche ai profili di molti altri. Lo senti come tuo, più di quanto lo possano avere mai gli altri. I testi e la musica sapevano, e lo fanno ancora, leggermi dentro come fossi un libro aperto. Ora tutto questo è come un pezzo dell’adolescenza (l’età dalla quale viene tutto ciò che è sacro, come direbbe EV) che ci portiamo sempre appresso. Perché lasciarlo andare via? Perché crescere del tutto, come se nulla fosse mai successo, e far finta che quel terremoto emotivo che ci ha scossi non si fosse mai sprigionato? Ora che abbiamo più o meno vent’anni, anche se tutta ‘sta passione che provo a volte sembra viaggiare a corrente alternata (ogni tanto sento di averli relegati lì, in un posto sicuro del cuore, ma non proprio a portata di mano), ogni volta che ascolto una nuova o veccchia canzone, ogni volta che vado ad un loro concerto e mi fanno sentire sospeso a qualche metro da terra manco fossi il protagonista di uno scadente romanzo per mocciosi innamorati, mi sento felice come un bambino sulla giostra che fa ciao ciao con la manina e che non ha nessuna intenzione di scendere.


Bleat

Avrei potuto tranquillamente farne a meno. Invece ora non solo scriverò poco su questo blog, ma farò altrettanto qui. Me l’ha chiesto il nerd che vive in me e che comanda almeno la metà delle mie azioni quotidiane. Quando comincerò a scrivere anche su FB, tagliatemi le mani.

Tags: evviva la coerenza, chi disprezza compra, incredibboli, da grande voglio essere geek.




“Case da ammirare”

Sottotitolo: “Altro che The Suburbs”.
Puntata zero, ma che potrebbe essere benissimo l’ultima. La nuova rubrica del blog che sogna di essere snob, ovvero: robe troppo belle che non avremo mai. Qualcosa del tipo inserto-del-Sole-h24-o-del-Corsera.
Si comincia con Villa Amanzi e gli interni di Casa Kimball. Quando quello che verrebbe altrimenti definito un evidente abuso edilizio si trasforma in ammirazione e stima. Ebbene sì, cado sempre nelle maglie perverse di desideri irrealizzabili.



Caga, andiamo a prendere il tuè a casa della Letizia Amanzi, insieme alla Ginevra, alla Matilde e alla Lucrezia? Dai, prendiamo la mia Rolls e ci facciamo accompagnare dalla tata, ché lo chauffeur è impegnato con mio marito dal Monsignore insieme ad una pletora di chierichetti, chissà poi perché...

Le brutte bandiere

E alla fine non ci sono andato. Anche se tutto questo in fondo, nel bene e nel male, fa parte della mia storia (ma io non ho mai sollevato con orgoglio il pugno sinistro e sono sempre stato anti-autoritario): quella di mio padre, del padre di mio padre e del padre del padre di mio padre, che era a Livorno nel 1921 e che tutti conoscevano come “lo sgara culi” (beh, detta così è un po’ ambigua; un giorno ne scriverò).
Non ci sono andato per il suo sapore autocelebrativo. Perché di sicuro mancavano le critiche lucide, coraggiose ed illuminanti di Pasolini. Pensiamo prima a cosa abbiamo contribuito a costruire. Perché, se si inserisce nell’ambito delle “manifestazioni dedicate ai 150 anni dell’Unità d’Italia”, qui c’è poco da festeggiare. Se si toglie un ventennio di Fascismo, quasi altrettanti del Nano, due guerre, gli Anni di Piombo, le stragi, l’edonismo e la superficialità spinta degli anni ‘80, cosa rimane?




Più precisamente

Ahahahhaha, mi fa troppo ridere il fatto che sotto un santuario sia stato costruito un museo speleologico.

The waiting drove me mad

L'attesa che questo un giorno diventi parte di un documentario.
Ho già pronto l'Oscar per il miglior protagonista.

(from the Self-Pollution Radio Broadcast, January 8, 1995)

Cose che mi fanno stare bene

il suono del plettro sulle corde di una chitarra acustica; la melodia del violino in Jesus, etc.; la mia città, ricca di storia, arte e verde, le palazzine in cortina, quelle anni settanta e i vicoli del centro; la mia città, anche se caotica ed immobile; imparare nuove parole (“so di non sapere”); i perdoni; i finali senza un finale; Troisi; gli abbracci; cantare insieme Skinny love quando siamo in macchina; l’odore dei libri nuovi; ballare ai concerti; ballare con te soli nella stanza; il rumore dei passi sul palco di un teatro; le foto in bianco e nero; quelle con i colori saturi; Rootless tree dal vivo all’Auditorium; i ponti; la leccata di un cane; le edizioni di Guanda; leggere in inglese; la voce di Eddie Vedder; Praga; Stoccolma; l’Islanda (un giorno ti avrò!); i viaggi lunghi in macchina di notte; le frasi pensate e poi scritte; le frasi pensate e poi dette; aver letto Bertrand Russell almeno una volta nella vita; fare l’amore; i segreti condivisi; tagliarmi i capelli; la stanza arancione; Ratatouille; pensare quando indosso le mie Converse che, con tono altezzoso ed antipatico e parafrasando un noto verso, “quando ho iniziato a metterle io, tutti ‘sti giovinastri di oggi nemmeno si facevano le pippe”; sentirmi un po’ migliore di quella madre e figlia a passeggio, entrambe con la tuta dell’Adi**s dentro gli stivali (da cow-boy), che va bene pure la donna senza personalità che si vuol vestire alla moda, però a tutto c’è un limite-; le rullate di air drum; Inní mér syngur vitleysingur; “...should have stayed for the sunset... if not for me.”; il design; la rete avversaria che si gonfia; il riflesso di un aereo in volo sul vetro di una macchina; il sole la domenica mattina; le cene in compagnia; gli amici; la neve; il mare d’estate; il mare d’inverno; farti ridere; quando mi fai ridere; …; ..;

te, che mi fai sentire a casa in ogni luogo.

Epifania

Ora che ho scoperto 'sta cosa, penso che passerò le prossime otto, nove, dicei ore a contemplare da vicino alcune meraviglie. E forse, dato che le mie fissazioni spesso oltrepassano il limite del patologico, mi prenderò una settimana di ferie.