Yate, Abruzzo, IT

Something to talk about

Lo dico ad alta voce: Nick Hornby è il mio eroe.
C’è chi ha come eroe un Matusale*me qualsiasi che si toglie la maglia e ostenta il suo corpo muscoloso da guerriero sotto la curva dopo essere stato espulso per essersi praticamente preso a pugni con un avversario e venir accolto per questo come un eroe da far-west. Non lo dico per invidia, anche se i miei pettorali ricordano più quelli di una mucca che quelli di un cow-boy. Lo ammetto: ho dei seri problemi a gestire il mio rapporto con le persone prepotenti. Percepisco la prepotenza -sul luogo di lavoro, nei rapporti familiari, nel traffico- come la forma più bassa e gretta dell’espressione umana. Non riesco a confrontarmi, forse perché non ammette per sua natura una forma dialettica.
Io invece ho un paladino che vive di narrativa. Non dico che per questo io sia una persona migliore. Voglio dire, un altro mio mito è un cantante che durante i concerti sta sempre ‘mbriaco. Beh, ognuno ha gli eroi che si merita.
Anche se il suo ultimo romanzo (Slam, o Tutto per una ragazza in Italia, che soffre come sempre nella traduzione dei titoli) era più che altro un -come al solito mirabolante- esercizio di stile, c’è sempre in me quest’ansia dettata dall’attesa di ogni suo nuovo libro, romanzo o saggio che sia. Lo comprerò e lo divorerò, già lo so. Sì, a volte anch’io mi muovo per pregiudizi.
Shakespeare scriveva per soldi è una raccolta di recensioni e riflessioni sui libri scritti dagli altri. E viene dopo la sua rubrica, più o meno fissa, che ho sempre seguito avidamente su Internazionale, e che probabilmente ha interrotto per essere più libero nell’esprimere la sua creatività e i suoi giudizi o proprio in previsione del libro. Essì, anche chi scrive ha bisogno di soldi. In quelle pagine della rivista vestiva i suoi soliti abiti: quelli di un autore ironico, divertente, dissacrante, irriverente, intelligente senza mai essere intellettualoide. Da allora mi aspettavo che, prima o poi, potesse raccogliere le sue geniali perle di saggezza in un volume con su scritto il suo nome, ed ora è in tutte le librerie. Oh, meglio del mago Gabriel. Una rubrica quella, dalla quale traspariva tutta la sua grandissima passione per la letteratura. Leggere, per l’amore di farlo. E succede che quando vedi in qualcuno che stimi l’infinito amore per la scrittura, ti viene da sorridere e hai voglia di farlo anche tu, anche se solo su un blog per poche righe messe insieme male e scritte peggio, solo per scoprire che ne sei capace.


Questo è un estratto-manifesto di quella rubrica:

[…] L'acume critico di Tomalin (e questo libro riaccenderà la vostra fede nella critica letteraria) è tale che mi sono messo a rileggere Hardy, anche se ho ripreso solo la sua poesia e non i romanzi. I versi che scrisse subito dopo la morte della sua prima moglie, Emma, sono, come indica Tomalin, decisamente brillanti nella loro…

Ok, penso che se ne siano andati. In genere leggono solo i primi due o tre paragrafi. Sono certo che apprezzeranno la scelta del libro di Tomalin e mi lasceranno in pace per un po'. Ora posso dirvi cos'è successo. I lettori più affezionati ricorderanno che la mia rubrica è uscita regolarmente fino all'autunno del 2006. E quando sono stato allontanato avrete sentito dire che avevo preso "un periodo sabbatico" o "una vacanza". Erano eufemismi per dire che venivo "rieducato". E anche questo è un eufemismo per dire che sono stato sottoposto a un lavaggio del cervello.

Il Polysyllabic Spree, cioè le trecentosessantacinque persone (tra uomini e donne) belle, gelide e spaventose che fanno parte della redazione di The Believer, non ha mai approvato il fatto che leggessi per divertimento. Così, dopo vari avvertimenti, sono stato deportato nelle segrete del loro quartier generale sui monti Appalachi, dove mi hanno somministrato con la forza solo letteratura vera. È un posto orribile: si sentono le urla di gente che non vuole leggere L'arcobaleno della gravità perché è troppo lungo e complicato, o di chi preferirebbe guardarsi Elf invece di quel film di Godard in cui alcune persone sedute su dei carretti leggono ad alta voce poesie rivoluzionarie.

C'era anche la povera Amy Sedaris, laggiù. E non vi posso raccontare cosa le hanno fatto. Vi basti sapere che per un bel po' non avrà più tanta voglia di scherzare. Per fortuna ho visto molti film in cui "i matti" (cioè quelli che vengono etichettati come dementi perché rifiutano di adeguarsi) resistono a tutti i tentativi di piegare la loro volontà. E ne ho tratto qualche idea.

Per esempio, ho nascosto sotto la lingua tutti i romanzi sperimentali sloveni senza vocali che cercavano di farmi leggere e li ho sputati subito dopo. Ne ho fatto una piccola scorta che tenevo nascosta sotto il materasso in modo che, se le cose si fossero messe male, avrei potuto uccidermi leggendoli tutti in una volta. Comunque, se mi sentite raccomandare un libro incomprensibile, vuol dire che hanno ricominciato a sorvegliarmi.

Negli ultimi mesi ho comprato e ho letto molti libri, quindi questa prima rubrica dopo il lavaggio del cervello ha più l'aspetto di una selezione che di un vero e proprio diario. E in ogni caso non posso parlarvi di alcuni degli ultimi romanzi che ho letto perché mi è stato proibito. In particolare hanno censurato uno splendido romanzo che ho finito di leggere dopo un secolo ma che ha ripagato i miei sforzi in modo incalcolabile. Pare che sia stato vietato perché tempo fa il suo autore ha ingravidato un'autorevole componente del Polysyllabic Spree, e lo Spree ritiene che il sesso sia un ostacolo alla fruizione letteraria. Che senso ha una rubrica di libri come questa se devi mentire sui libri che hai letto? […]

Life is funny, but not ha-ha funny

Dicono che ogni esperienza serva a formarti. Dicono che finché sei vivo avrai la voce per raccontarla. Che se perdi la macchina, potrai ricomprarla, che se perdi la casa potrai ricostruirla. Ti dicono che il tempo passa e seppellisce tutto ed è come ovatta isolante verso la paura. Dicono che il futuro si può ricostruire.
Ci sono cicatrici che ti porti dentro e basta che il pavimento sotto di te ti faccia tremare un po’ il culo a farti risvegliare brutti ricordi, anche se sono successi dove le stelle sono tantissime, lontano da qui. Lo vedo intorno a me, in questi giorni maledetti. Ci sono cicatrici che ti porti dentro e basta. Punto.

All apologies


Quattordici anni. Quindici anni fa.
Perché dire altro? Sarebbero tutte scuse.

I funerali dell’anarchico Galli

Se ve lo state chiedendo, il titolo c’entra sì con la mostra sul Futurismo, ma un cazzo con il post. Siamo anche stati alla mostra dedicata a Darwin ed ho scoperto, grazie alla mia formidabile guida-biologa (nonché ammòre) che crediamo di sapere sull’evoluzione molto meno di quello che abbiamo capito. L’ho scritto solo per dimostrarvi che anche se parlo di brufoli non sono una persona superficiale. Ed il fatto che io mi senta in dovere di fare questa premessa la dice lunga sul mio livello di autostima e senso di sicurezza di sé.
Sarà ché sento un bisogno di leggerezza estremo in questo periodo, sarà ché ultimamente la sete e volontà di poter cambiare lavoro (il compenso non è questo, ma la merda è la stessa) non è mai stato così forte e contemporaneamente mai così desolante è sembrato il panorama che ci circonda, sarà perché ti amo, ma non ho mai desiderato così tanto tornare adolescente ed avere come obbligo-piacere sociale solamente quello di dover studiare.
Beh, a ripensarci bene non è che quelli fossero anni proprio spensierati, ma chi non ha avuto un animo più o meno tormentato da adolescente -c’è che ce l’ha, in modo diverso, anche adesso-, è o uno privo di sentimenti o un egoista o un ebete.
Allora, sarà sicuramente per questo pensiero che ha svolazzato nel mio cervelletto per qualche istante che il buon dio mi ha voluto accontentare con uno dei simboli-incubi-fantasmi propri di quell’età: un brufolo del diametro di qualche centimetro proprio in mezzo al viso e che, nel migliore dei casi, sparirà tra 8-10 settimane. Così da poterne parlare nel blog e farmi vivere il mio momento di spensieratezza adolescenziale. Voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida. Non c’è altra spiegazione, un essere così non appartiene a questa terra. Una di quelle cose che ti fanno sentire a disagio appena metti il piede fuori casa ed incroci un essere umano, fosse anche dall’altra parte del marciapiede. Quella fastidiosa ed imbarazzante sensazione di sentirsi fissato da tutti. Ma siccome sono sì un tristone tardo-adolescenziale, ma ho quasi trent’anni e quindi sono molto più saggio, ho capito una cosa fondamentale: non guardavano me, guardavano lui. E in alcuni casi ci hanno anche conversato.