Paolo Benvegnù, Circolo degli Artisti, Roma [29.03.2008]

[pic by dufresne]

Io ed Ale arriviamo al Circolo con due ore di anticipo, non a causa della mia passione per Benvegnù, né grazie alla nostra conclamata ansia, ma più prosaicamente perché l’orario sui biglietti era stampato errato. E noi, da bravi boccaloni, non è che ci siamo fatti venire il dubbio che un concerto previsto per le 20.00 risultasse un po’ anomalo; in realtà la stranezza l’avevamo pure colta, ma evidentemente era troppo difficoltoso per noi alzare il telefono e chiedere conferma. Oh, ognuno ha gli amici che si merita. Il primo dubbio più serio si è insinuato in noi quando abbiamo parcheggiato a dieci metri dall’ingresso. Il secondo, quello che ci ha dato la conferma definitiva, è stato arrivare sul posto, con (finto) sommo stupore, direttamente insieme a Benvegnù, giusto in tempo per vederlo scendere dal taxi, ma tu non dovresti suonare tra cinque minuti?
La serata iniziata troppo presto è poi anche finita troppo in fretta, grazie al cantautore (voglio chiamarlo così). Non parlo della durata, alludo al troppo in fretta come tutte le cose belle. Sarà per il taglio nervoso che dà alle sue canzoni dal vivo che il concerto vola via, trascinandoci in una tensione costante. Tra momenti tirati, canzoni che ti avvolgono per riscaldarti il cuore, versi da poeta, musicisti virtuosi, i vecchi pezzi degli Scisma ed una mezza cover degli AC/DC. Mai banale, mai superficiale. Il cantautore se ne sta su qual palco ad un metro più in alto di tutti quanti. Il significato profondo di una serata indimenticabile.

And we'll become silhouettes when our bodies finally go

Arrivato alla soglia degli 81 kg. di peso, penso sia giunto il momento di approdare alla consapevolezza di avere un disturbo alimentare e darmi di conseguenza una regolata. Sappiate che la foto non mi rende (in)giustizia. Non avrei mai pensato di arrivare ad avere quello che tutti gli uomini amano, ma nelle donne (a meno che voi non vi chiamiate Lapo o Paulo Victor Reginaldo Rubens detto Nadia): le tette.

n.b. Non saranno accettati in sede di commento accostamenti ironici e veri sympa fin troppo facili tra l’essere ritratto nella foto ed il water sullo sfondo.

Everything zen

dufresne: beh, in effetti il mio lettore mp3 ha solo mezzo giga di memoria e ormai è vecchio, obsoleto, ed è praticamente rotto. eddaiii.

La storia la sanno più o meno tutti.
Viviamo nella società dei bisogni, dove le nostre (presunte) necessità sono più che altro indotte da un sistema grazie la quale siamo arrivati a desiderare, e comprare facendo sacrifici, quello che in realtà non ci serve, quello di cui non abbiamo realmente bisogno. Siamo abituati a cose inutili, oggetti senza i quali vivremmo comunque benissimo.
Quell'edonista di Oscar Wilde se ne uscì con un aforisma: posso rinunciare a tutto, fuorché al superfluo. Ora, la citazione proprio precisa forse non è questa, ma il succo sì. Oggi, nel mondo economicizzato fino all'eccesso, nell'era del consumismo sfrenato bla bla bla, questo stile di vita (way of life, direbbero quelli che la sanno lunga) sembra essere diventato la regola.
Perché allora, nonostante questa consapevolezza, non riesco a fare a meno di pensare a lui?
Ecco, ora sostituite" mezzo" con "sei" e "rotto" con "funziona benissimo barra non ha mai funzionato così bene" e capirete meglio quello che voglio dire.

Her beauty and the moonlight overthrew ya


Doverosa premessa: ho sempre avuto un debole per i violini. E per le canzoni pop.
In questi giorni mi è entrato in testa un motivo killer ed appiccicoso che non vuole sapere di andarsene dal mio cervelletto. Melodia che ha la capacità di farmi battere il piedino quando sono al lavoro, di farmi fischiettare sotto la doccia, di farmi cantare in macchina e, ahimé, visto che ho la capacità di concentrazione degna di un telespettatore medio di mtv, di farmi distrarre mentre studio.

Da un viso come quello di Jens Lekman ti aspetteresti un suono diafano, sottotono, fatto di sottrazioni, di arpeggi ed acustici passaggi delicati. E invece, sbam, se ne esce con quei violini nervosi e al tempo stesso malinconici. Come ti senti tu in questo momento.

Jens Lekman, The opposite of hallelujah (emmepitre)

I feel realized only with a (blow) job

[pic by dufresne: cliccateci]

Questo è più o meno lo scenario che mi ritrovo ultimamente davanti agli occhi. Una porta chiusa. L’immagine che meglio descrive questa città, spietata quando qualcuno chiede di poter lavorare. Nel mio caso, di poter cambiare occupazione. Più introvabile della figurina di Ago Di Bartolomei dell’album Panini del 1983. Una sorta di immobilismo sovietico, senza gli indubbi vantaggi del comunismo: la tormentata ed affascinante storia di Vladimir Majakovskij e Lilja Brik, Goodbye Lenin e l’arte di propaganda degli Agitprop.

Sartre mi fa una pippa

Un amico mi ha chiesto cosa farò ad aprile, verso la metà del mese. Senso di Nausea.
Dopo aver passato in rassegna diverse ipotesi, nell’ordine: scopare, leggere, guardare un film, studiare, sfidare Pietro in una gara di rutti, passando per il classico andare al mare, ho finito per optare in un pollice ben stretto sulla narice destra, l’indice sulla sinistra e, se non fosse abbastanza e mi facessi prendere dal rimorso, chiudere gli occhi. Poi mettere una croce. Il più a sinistra possibile. Ché poi, volendoci avventurare in un inutile gioco dialettico, sarebbe in realtà una croce il più lontano possibile da destra.
Tutto questo mentre le mie ingenue amiche stanno perdendo tempo a laurearsi o a cercare un lavoro sicuro, decente ed appagante, c’è chi sta lavorando attivamente per loro.


Pier*ilvio: Caga, ti amo!
Amica di dufresne: Eh, io no...
P: Ma come, non ti bastano tutte le mie attenzioni?
Add: È che vorrei più regali... e poi... non mi fai sentire al sicuro.
P: Posso cambiare, diventare una persona migliore...
Add: No, senti, famose a capì: io sto con te solo-per-i-soldi.
P: Ah, maledetta puttana. Aveva solo detto “uno come mio figlio”, non “mio figlio”... poteva farsi i cazzi suoi?
(Pier*ilvio apre la porta)
Add: Dove vai? E l’assegno per la mia macchina nuova?
P: Torno subito. Devo uccidere una persona.

Eels, Auditorium - Parco della Musica, Roma [08.03.2008]

Mark Oliver Everett sa cosa significa avere radici. Altrimenti non sarebbe così folle da aprire il concerto con un’ora di documentario della BBC (meraviglioso per fotografia, grafica, regia ed idee) di Mr. E sulle orme del padre. O forse è proprio per questo che se lo può permettere; avere delle forti basi alle spalle può darti la forza di metterti a nudo. Tutto questo si trasmette nello spettacolo del quarantacinquenne americano, questo suo scoprirsi, forte anche del suo talento e del suo folle genio. Con il suo assurdo e quasi svogliato modo di imbracciare una chitarra quando sta seduto ed un cappellaccio con la visiera tirato in tesata per tutto il concerto, dandoti l’impressione di chi è lì quasi per caso, di un grande musicista che per strada baratta qualche nota con degli spicci.
Il documentario è un viaggio nella mente del genitore, un noto scienziato e fisico, studioso di meccanica quantistica ed elaboratore di teorie sugli universi paralleli. Un viaggio segnato dalla riscoperta dei suoi rapporti personali, da discussioni con gli amici o i suoi ex allievi, da spiegazioni del funzionamento dei fotoni, etc. Il tutto toccato da malinconia e dalla sempre presente ironia che gli permette, probabilmente, di andare avanti.
Sapevo che mi sarei dovuto aspettare un qualcosa di nuovo e non convenzionale. Ho avuto modo di vedere altri concerti (in video) degli Eels (che ho sempre adorato) elettrici o with strings. Così, grazie alla mia nota elasticità mentale, avevo deciso di adottare un unico metro di giudizio per ciò che avrei visto ed ascoltato ieri sera, an evening with Eels, che in pratica sarebbe stata una serata per due. Da buon psicorigido, queste erano le tre opzioni: 1. peggio degli Eels, 2. meglio degli Eels e 3. come degli Eels. Capirete perciò il mio stupore nel trovarmi in un contesto di un universo parallelo che ammetteva l’opzione namber fòr, cioè non c’entra un cazzo con gli Eels.
L’intimità è stata la chiave del concerto, a cominciare dal documentario. Mark Everett sul palco sale solo in compagnia del fidato polistrumentista ed amico Chet Lyster e con lui si alternerà anche alla batteria, lanciandosi in strepitosi assoli e cavalcate rock. Con mia profonda sorpresa non si è vista neanche l’ombra di una chitarra acustica: solo pianoforte, per le sue classiche struggenti ballate, e chitarra elettrica per riarrangiare ed asciugare in due elementi i pezzi del gruppo americano. Ed in questa veste si sente ancora di più l’influenza delle radici della musica d’oltreoceano.
Mr. E poi scherza con il pubblico, legge le recensioni dei suoi recenti spettacoli sui quotidiani, alterna la musica a momenti di reading (affidati all’amico) ironici o toccanti, segnati da intime tragedie, quelle che l’hanno accompagnato per tutta la sua tormentata vita.
Alla fine non ci concederà il bis, ma va benissimo così. Questa è arte, mica un concerto normale; e lui lo fa con una naturalezza impressionante. Five stars (cit.).


p.s. Possiedo un dono tutto mio: quello di perdermi per strada ogni volta che torno dall’Auditorium. Oh, puntualmente commetto la stessa puttanata.

p.s.2: Nonostante gli OfflagaDiscoPax abbiano il merito di aver scritto una canzone illuminante come Tatranky ed una da premio letterario, e a dir poco commovente, come Venti minuti, ho rinunciato all’idea di questa impresa. Non sò più er ghepardo de 'na vorta.

CCISS – Viaggiare Incazzati -edited-

Ricorda uomo, per quanto tu possa essere appassionato di tecnologia, arriverà sempre un momento in cui farai la figura del peracottaro.
Si è inserito nella mia autoradio, non so per quale oscuro gioco celeste (mio padre), la simpatica funzione del traffic info not richiested and not util when you are near from home. In pratica, quando meno te lo aspetti, il Cciss – Viaggiare Informati ti si impossessa dell’autoradio senza che tu lo voglia e, per dio, non si ha più modo di sentire il ciddì, il lettore mp3 o semplicemente cambiare stazione radio fino alla fine del suddetto programma. Dall’inizio alla fine, così, senza che tu possa opporre resistenza. L’unica via è la fuga: spegnere o togliere il volume.
Ti prenderà alle spalle. Quando sei solo e canti a squarciagola un brano trash di cui ti vergogni (per questo lo canti mentre sei solo). Quando ascolti la nuova, splendida, canzone degli
Afterhours. Quando starai in macchina con un tuo amico e vorrai fare il saccente (ma in realtà è solo orgoglio) con un musicista che conosci solo tu, senti-questo-ragazzo, me-ne-sono-innamorato, quanta-classe-e-che-canzoni-meravigliose, mica-lo-trovi-sugli-indie-blog-fighetti, I draw a line from A to B and what happens in between It is an open mystery as far as I can see... eeeeh prrrr, Cciss, Viaggiare Informati, vi dà il benvenuto...
Lo ammetto, dopo aver perso il libretto delle istruzioni, ogni tentativo è stato vano. Le ho provate tutte, premendo ogni tasto dello stereo, anche insieme creando varie combinazioni, anche inserendo le quattro frecce ed il tergicristalli, senza riuscire a togliere questa opzione. Le ho provate tutte, anche da casa con ctrl+alt+canc.
[Appendice: le sue composizioni struggenti a volte si colorano di fortissime tinte policromatiche e lo fa con la delicatezza ed il piglio romantico da chi ha imparato la lezione di una scuola folk antica, facendola propria, personale. Insomma, con lui gli accostamenti sembra quello lì, suona come quello là, lasciano il tempo che trovano. Ché, detto per inciso, Fionn Regan pur essendo giovanissimo già dà la merda a tutti.]

Ho quasi trent'anni e, quindi, dovrei citare Nick Hornby almeno in un post

Top fàiv delle attività che amo fare con lei:

- Fare all'ammòre, possibilmente ogni giorno. E fin qui...
- Cucinare.
- Ridere, anche per una sciocchezza.
- Litigare, anche per una sciocchezza. Per poi riderne.
- Pensare al futuro. E scoprire i nostri occhi che guardano nella stessa direzione.