Eels, Auditorium - Parco della Musica, Roma [08.03.2008]

Mark Oliver Everett sa cosa significa avere radici. Altrimenti non sarebbe così folle da aprire il concerto con un’ora di documentario della BBC (meraviglioso per fotografia, grafica, regia ed idee) di Mr. E sulle orme del padre. O forse è proprio per questo che se lo può permettere; avere delle forti basi alle spalle può darti la forza di metterti a nudo. Tutto questo si trasmette nello spettacolo del quarantacinquenne americano, questo suo scoprirsi, forte anche del suo talento e del suo folle genio. Con il suo assurdo e quasi svogliato modo di imbracciare una chitarra quando sta seduto ed un cappellaccio con la visiera tirato in tesata per tutto il concerto, dandoti l’impressione di chi è lì quasi per caso, di un grande musicista che per strada baratta qualche nota con degli spicci.
Il documentario è un viaggio nella mente del genitore, un noto scienziato e fisico, studioso di meccanica quantistica ed elaboratore di teorie sugli universi paralleli. Un viaggio segnato dalla riscoperta dei suoi rapporti personali, da discussioni con gli amici o i suoi ex allievi, da spiegazioni del funzionamento dei fotoni, etc. Il tutto toccato da malinconia e dalla sempre presente ironia che gli permette, probabilmente, di andare avanti.
Sapevo che mi sarei dovuto aspettare un qualcosa di nuovo e non convenzionale. Ho avuto modo di vedere altri concerti (in video) degli Eels (che ho sempre adorato) elettrici o with strings. Così, grazie alla mia nota elasticità mentale, avevo deciso di adottare un unico metro di giudizio per ciò che avrei visto ed ascoltato ieri sera, an evening with Eels, che in pratica sarebbe stata una serata per due. Da buon psicorigido, queste erano le tre opzioni: 1. peggio degli Eels, 2. meglio degli Eels e 3. come degli Eels. Capirete perciò il mio stupore nel trovarmi in un contesto di un universo parallelo che ammetteva l’opzione namber fòr, cioè non c’entra un cazzo con gli Eels.
L’intimità è stata la chiave del concerto, a cominciare dal documentario. Mark Everett sul palco sale solo in compagnia del fidato polistrumentista ed amico Chet Lyster e con lui si alternerà anche alla batteria, lanciandosi in strepitosi assoli e cavalcate rock. Con mia profonda sorpresa non si è vista neanche l’ombra di una chitarra acustica: solo pianoforte, per le sue classiche struggenti ballate, e chitarra elettrica per riarrangiare ed asciugare in due elementi i pezzi del gruppo americano. Ed in questa veste si sente ancora di più l’influenza delle radici della musica d’oltreoceano.
Mr. E poi scherza con il pubblico, legge le recensioni dei suoi recenti spettacoli sui quotidiani, alterna la musica a momenti di reading (affidati all’amico) ironici o toccanti, segnati da intime tragedie, quelle che l’hanno accompagnato per tutta la sua tormentata vita.
Alla fine non ci concederà il bis, ma va benissimo così. Questa è arte, mica un concerto normale; e lui lo fa con una naturalezza impressionante. Five stars (cit.).


p.s. Possiedo un dono tutto mio: quello di perdermi per strada ogni volta che torno dall’Auditorium. Oh, puntualmente commetto la stessa puttanata.

p.s.2: Nonostante gli OfflagaDiscoPax abbiano il merito di aver scritto una canzone illuminante come Tatranky ed una da premio letterario, e a dir poco commovente, come Venti minuti, ho rinunciato all’idea di questa impresa. Non sò più er ghepardo de 'na vorta.

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