Subliminal post


Scoperto l'arcano; ecco cosa fa in realtà su quel palco, lui.
Anyway, nonostante il titolo e la scaletta sulla quale potrei blaterare parole inutili per ore*, check it out (come dicono i diigggèi ggiovani e fichi).
Accattatevillo.



* Più penso all'idea del film, documentario, chiamatelo come volete, e più mi entusiasmo. Comunque sia, mancano alcuni momenti fondamentali (e con fondamentali intendo: non c'è giustificazione che tenga, potete pure farci una tesi ed intitolarla "apologia della tracklist", ma certi passaggi non andavano esclusi) dei concerti italiani, e per dire questo non c'è bisogno di aspettare settembre...
Però il titolo è da veri fuoriclasse.

Camera (Wilco cit.)

[...] Allora, forse, tutta la sua vita, il suo essere separato, non è altro che, come aveva compreso perfettamente Thomas, che una elaborata messa in scena della propria, inestinguibile, volontà di svanimento; la spettacolarizzazione di un complesso di colpa, di un'angoscia che lui ha sentito forse fin dal primo giorno in cui ha aperto gli occhi al mondo, e cioè che non sarebbe mai stato felice. E questo senso di colpa, per essere nato, per aver occupato un posto che lui non voleva, per l'infelicità di sua madre, per la rozzezza del suo paese si è dislocata in un mondo separato, quello della letteratura, permettendogli di sopravvivere, anche di gioire, ma sempre con la consapevolezza che mai la pienezza della vita, come comunemente la intendono gli altri, sarebbe stata sua. Il senso di una sottrazione primaria, probabilmente è questo che l'ha spinto al punto in cui è ora. [...]

Camere Separate, Pier Vittorio Tondelli


Letto in poche ore, cosìtuttodunfiato. Una meravigliosa storia sull'amore vero, sul sentirsi vulnerabili, sulla perdita di un amore e sull'incapacità di andare avanti e lasciarsi trasportare come una foglia dalla corrente... Tutto quello che ero e non sono più. Quello che siamo un po' tutti.

Scoperte

Sono imprevedibili gli eventi che ti fanno scoprire la considerazione che gli altri hanno di te.
Due ragazze, conosciute tempo prima all'Università di Viterbo insieme al mio amico C., ci riconoscono e, parlando a bassa voce tra di loro, ma vicino a noi tanto da carpirne la conversazione, se ne escono con questo "edificante" scambio di opinioni:

- Oddio, com'è che si chiamavano quei due? [Come "chiamavano", mica siamo ectoplasmi?]
- Quello carino è C., l'altro è P.
- Uh, è vero, ora mi ricordo...

Ah, l'altro è il sottoscritto.
Pozza fa 'na vampa.

Harr, marinai miei, harrr

Esce tra due giorni nelle sale ammericane il film dell'anno.
Quello che hey, io so tutte le citazioni a memoria, quello che ho scoperto qual è lo stato dove si trova la città, quello che ho quasi trent'anni e non mi vergogno affatto, quello che quando io li vedevo in tivvù tu nemmeno ti facevi le pippe (questo è un omaggio).
Quello che sarà pure un cartone animato, ma io non sono mica un nerd, eh.
Dite e pensate quello che vi pare, che sia superficiale quanto volete, ma quando ho visto il trailer ho pensato che fosse il film di una generazione.

Brooks was here. So was "me".



- ti ricordi cosa ti ho detto quando ti ho regalato il dvd?
- certo che me lo ricordo!
- non avevo dubbi...

Per le due, tre persone, massimo quattro (quattro e uno, quattro e due, quattro e tre: aggiudicato), che se lo stessero chiedendo, Dufresne (Andy, precisamònt), è quello sulla destra. L’ho scelto come nick perché mi ha insegnato molto: il suo cadere semplicemente per poi rialzarsi, l'ostinata e strenua forza di non arrendersi mai... molto più che un film, come la musica non è semplicemente la colonna sonora della mia vita.

Warning: post estivo [sì, anche io scrivo sul mare...]

Present tense. Praticamente un regalo, in una confezione sfavillante. Probabilmente il "Live at the Gorge" non contiene le esibizioni migliori di quel periodo (2005/2006), ma ascoltandolo ogni volta la magia si ripete. E, come a volte accade, il momento che più ti fa tremare le gambe arriva quando Eddie decide di salire sul palco da solo, telecaster od acustica in mano, ad intonare ed interpretare qualche cover, rivestendola spesso con voce grintosa e note nervose, o con una dolcezza unica, come la melodia waitsiana a Milàn ( ...la bella Milano! Eeeh?) lo scorso anno. Si sa, ogni concerto potrebbe regalarci una gemma ed ogni volta l'aspetto con ansia quel momento. Ogni volta che arriva è un colpo al cuore. Come quando sei sulla strada, diretto al mare. Ti avvicini, sai che prima o poi lo vedrai in lontananza, l'avrai visto un milione di volte così, ma ogni volta ti entusiasmi come fossi un bambino. Questa volta il mare ha il nome di una canzone di Tom Petty: I won't back down. La data è quella del 23 luglio.
Ed io lì ad scoltarla, con gli occhi sgranati di un bambino.

Damien Rice, Cavea dell'Auditorium - Parco della Musica, Roma [19.07.2007]

[photo by dufresne, Cheers Darlin']



Statura minuta, bel viso (l’ammòremio con enfasi mi da ragione, e te pareva), voce da fenomeno e talento da vendere.
Damien Rice sale sul palco in silenzio, senza dire una parola. Rimarrà così per la prima ora; questa volta è veramente la musica a parlare (prime righe del primo post è già usi frasi fatte, vai così...). Basta la versione per solo piano e, meravigliosa, voce di Rootless Tree, messa in apertura, a farmi scoppiare il cuore e farlo incastrare da qualche parte tra il collo e le spalle. Così riesco anche a non pensare né alla cifra immorale con cui ho pagato il biglietto – quant’è? ah, 40 eurini? All in medicines. -, né al fatto che a Roma esista un solo luogo decente dove poter suonare -grazie uolter-, ma nel quale tra l’altro non possono venire tutti i gruppi.
Certo che l’atmosfera creata da Damien e soci e la splendida cornice della cavea dell’Auditorium cancellano anche gli aspetti negativi della serata. Anche se Rice piace alla gente che piace. Accanto a me ragazze bellissime, ma che non muovono un piede nemmeno quando il giovanissimo e bravissimo batterista picchia come un dannato su quei tamburi, insomma sembrano essere di legno, soprattutto tra la pancia e le gambe. Anche se ci sono uips di una simpatia estrema. Anche se ci sono signori snob che si tappano le orecchie quando il volume si alza, che sembrano essere capitati lì per caso, come F**e ad un convegno di giornalisti; infatti, tempo mezz’ora e pensano bene di andarsene. At least, but not the last, ragazzine urlanti da tre-metri-sopra-il-cielo. Da parte mia, se la jam finale di Coconut Skins fosse durata un minuto di più avrei preso il coraggio a due mani e mi sarei buttato direttamente dalla balaustra al palco a suonare la terza (terza!) batteria.
Il concerto alterna momenti toccanti ad episodi più movimentati, ottenendo un sorprendente equilibrio tra tensione ed emotività. Poi accade qualcosa di inaspettato: stacca l’amplificazione, accorda la chitarra ed inizia l’arpeggio di Cannonball, si allontana dal microfono, avvicinandosi alla prima fila, e comincia a cantare con il pubblico in completo silenzio, salvo poi accompagnarlo (me compreso ovviamònt) durante il ritornello, sottovoce e senza offuscare la sua, creando così un effetto da pelle d’oca alta 4 cm. e lacrimoni a non finire.
Al violoncello c’è Vyvienne Long (al posto di Lisa) che si muove con disinvoltura con il suo strumento tra le mani, come se fosse Maradona con un pallone tra i piedi.
Il cantautore (posso chiamarlo così?) irlandese è dal vivo suggestivo nei momenti più acustici e sussurrati, trascinante quando si preme il piede sull’acceleratore (unico appunto l’uso eccessivo degli effetti per la voce) e silenzioso tra una canzone e l’altra, fino al colpo di teatro finale: storia ironica ed amara da bar fumoso ed interpretazione da vero fuoriclasse con tanto di cameriere sul palco che offre vino al buon Rice, il quale si accende una sigaretta e, fingendosi ubriaco, canta barcollando e con la voce tremolante Cheers Darlin'.
Ovazione finale del pubblico, che si era fatto sentire rumorosamente anche prima del bis, e sorriso da ebete stampato sulla faccia del sottoscritto.
No love, no glory, canta Damien. Ripenso all’ultimo anno della mia vita e piango nuovamente (è serata, che volete fà...), dalla felicità, pensando a quanto abbia ragione.
Emotivamente il concerto dell’anno, of course.

Foto [by dufresne]: (coming soon)