Eddie Vedder è il mio co-pilota

Un bagno di sangue. È con quest’espressione un po’ ansiogena e che non lascia, come dire, molto spazio all’ottimismo che il mio collega preferito ama descrivere i periodi lavorativi più difficili e densi di impegni. Quelli che devi lavorare anche il sabato e la domenica a casa e la sera fino alle otto-e-mezza.
Se ve lo stesse chiedendo (ma ve lo state chiedendo?), sto scrivendo poco da queste parti per alcuni buoni, ma non sani, motivi. Ok, ‘sta scusa non regge più, perché in fondo dieci minuti ogni tanto li potrei pure trovare. Ma sono stanco e quando sono stanco sono anche poco comunicativo. Il massimo l’ho raggiunto negli ultimi tre mesi, quando il programma è stato il seguente: lezione all’università dalle 8 alle 10, in ufficio dalle 10.15 alle 19.30, conclusione di serata con l’invio di sette mail ai docenti, alle quali riceverò risposta, se va bene, a due.
Ecco, vi racconto tutto questo solo per far sapere ai miei lettori, estimatori o detrattori che siano -figure che entrambe confluiscono nell’unica persona che legge e commenta i miei post, la quale ha però, badate bene, una personalità multipla, quindi potrei affermare con un malcelato orgoglio che mi leggono abitualmente almeno in due…-, che verranno tempi migliori e voglia di scrivere ed allora non avrete più scuse per non passare da queste parti.

Sì, vabbè, ed il fine settimana? Il fine settimana c’è da studiare, ovvero quello che non riesco a fare durante tutti i giorni. E come se non fosse sufficientemente difficile trovare il tempo per farlo, considerando anche che ho una capacità di concentrazione degna di un sedicenne assuefatto alla playstation, mi inseriscono pure certe immagini nei libri di testo come quella che vedete all’inizio del post. Vi ricorda qualcosa?

Sì, vabbè-again, ma il titolo del post? Beh, vorrà pur dire qualcosa se ogni mattina calcolo il tempo che mi separa dall’università al lavoro e studio il percorso in modo tale da far coincidere l’arrivo con il mio lettore mp3 che sibila nelle cuffie before i disappear/whisper in my ear/give me something to echo/in my unknown futures ear/my dear/the end/comes near/i’m here/but not much longer.

Intermezzo musicale - L'attesa













Giusto per farvi sapere che sono ancora vivo e che lotto con voi. Nell'attesa che introducano le trentacinque ore giornaliere, grazie alle quali avrò il tempo per scrivere in questo posto, vi lascio come promemoria di me il nuovo video (ed mp3) di Mr E.
L'ennesimo gioiellino, che ci regala nell'attesa della fine dei tempi. Insieme a questo angosciante countdown.

I must belong somewhere










C’è una cosa che non sono mai stato bravo a fare. E qui i maligni, gli invidiosi o più semplicemente, ahimé, chi mi conosce bene, potrebbe obiettare con buone e convincenti argomentazioni sul numero e… ora basta. Tutto questo autocommiserarsi non piace alle ragazze. C’è una linea sottile come un vetro tagliente che la divide dall’autoironia, che invece, come ci insegnò il saggio, è divina. Spesso è difficile distinguerle, ma chi si racconta lo sa bene.
Vabbè, dicevo: durante le vacanze -o ferie, come si dice nell’età adulta-, non sono mai riuscito a rilassarmi completamente, modello silicone isolante a spegnere il cervello, insomma a non pensare a nulla, proprio come un telespettatore medio del GF. Sentirsi leggeri e lasciarsi trasportare dal vento, non vuoti, ma almeno lievi, vaporosi, come sospesi.
I cazzi e gli scazzi sono sempre gli stessi: il lavoro, lo studio, la famiglia, l’autostima; può bastare? Direi di sì, soprattutto perché altrimenti direbbero che mi lamento sempre. Il fatto è che stanco ero e stanco sono tornato alla vita quotidiana. Forse è perché quando sono stanco sono emotivamente instabile. Sì, più del solito. Forse mi sono svegliato troppo tardi per voler fare tutte le cose che sto facendo ora; c’è un tempo per tutto, ma io ho pensato bene di concentrarlo in questi ultimi anni.

Durante le vacanze ho scoperto, o meglio ne ho avuto l’ennesima conferma, che le esperienze hanno più valore se vissute insieme. I ricordi condivisi sono quanto di più potente e propulsivo ci sia per l’anima. Chissenefrega se poi gli psicologi del benessere (che iddìo li fulmini, brutta categoria) sostengono, avallano, propugnano, promuovono -trovate voi altri sinonimi- l’importanza, il valore delle esperienze fatte da soli, sintomo e segnale del riuscire a star bene con se stessi e bla bla bla. Che poi ovviamente il fatto che io preferisca fare le cose in coppia non c’entra nulla con il non riuscire a stare bene con me stesso. No, ve lo dico nel caso voi siate degli psicologi e contemporaneamente stiate leggendo questo post; eh, lo so, è difficile fare due cose insieme.

E sarà per questo bisogno di appartenenza che mi porto dietro da sempre (anche se non lo direste mai, avendo allentato al minimo i legami con la mia famiglia e non sentendo neanche il senso di appartenenza a questo Stato che sta morendo, morte peraltro meritatissima) che queste nuove scoperte ed esperienze non avrei mai pensato di farle con nessuno di migliore, se non con lei.

Mi sono accorto da tempo che certe cose non puoi farle in solitaria e che gli amici da soli non bastano, punto e basta. E queste foto ne sono precisamente le testimonianza. Per voi che le osservate ora sul vostro schermo potrei anche averle scattate in perfetta solitudine, ma in quel preciso istante, quando ho premuto il pulsante, lei era lì accanto a me. E mi sono sentito felice. In questi scatti ci sono i miei ed i suoi occhi e per questo, per me, sono belle il doppio. Anche se non lo sono oggettivamente, lo sono perché filtrate dai miei ricordi. Esiste qualcosa che possa avere più valore?

A proposto, dovreste anche sapere che lei è la donna che mi incoraggia sempre e che mi ha spinto a partecipare al mio primo concorso amatorial-fotograico, quindi se premieranno quell’istantanea (se non si accorgono che in realtà non è una bella foto, ma lo è il soggetto, insomma che avrebbe potuto scattarla chiunque) sarà soprattutto grazie a lei. Magari si sbagliano e la fanno vincere.
Se invece voi non ve ne siate accorti, la mia ultima fissazione sono le polaroid. Strano, perché io non mi fisso mai con le cose; l’ultima è stata ripetere in modo ossessivo-compulsivo le scene di un film di Troisi. Quindi ogni foto di questo blog, da ora in poi, si presenterà sotto questo aspetto altamente nostalgico.

Supersonico


C'è chi, superati i quaranta, per fare le acrobazie con lo skate in un video chiama uno stuntman e c'è chi, a quarantasei anni suonati -notato l'accostamento di "suonati" ad un musicista di professione, no eh?-, quelle evoluzioni le fa veramente. Poi suona anche nel mio gruppo preferito, ma non dite che sono di parte.

(via)

Le contraddizioni del socialismo reale sovietico

Dopo aver scoperto con colpevole ritardo questa meraviglia, vi annuncio con malcelato orgoglio che da oggi in casa dufresne si utilizzeranno esclusivamente saponi completamente biodegradabili ed ecologici, nonché distribuiti alla spina con flaconi per questo riutilizzabili e riciclabili.

Scusate, ma ora devo andare a rifornire di benzina la Vespa, ché mi serve per percorrere i mille metri -scritti così sembrano tanti, no?- che mi separano dal lavoro ed i cinquecento dal supermercato dove acquisterò i detersivi non inquinanti.

Like a rootless tree


[pic by dufresne, Tiburtina, Roma]

Dente @ Circolo degli Artisti, Roma [09.09.2009]



[pics by dufresne, 2, 3, 4, 5]

Passare in due giorni consecutivi da un concerto dei Dinosauri a quello di Dente potrebbe creare sindromi dissociative alquanto serie, o almeno non indifferenti.

Anche se poi, dopo il frastuono e il conseguente sbandamento iniziale, razionalizzi che è più normale di quello che possa sembrare, persino più giusto. Non è poi così male come esperienza. E per fortuna che a parlare per me c’è una citazione* di Nick Hornby che può essere traslata anche alla musica senza perdere onestà e valore intellettuale, nonché ripresa da un libro di cui ha parlato il sottoscritto in tempi non sospetti, e bla bla bla.

Quarantotto ore passate così sono una finestra aperta sul passato, uno sguardo a quello che sono oggi e pure una sbirciatina al (ahimé, prossimo) futuro.
Vedere tre vecchi-ma-non-troppo rockers, che insieme raggiungono qualcosa come centotrentacinque anni, emanare pura energia ad ogni nota, ad ogni sussulto e ad ogni distorsione, è anche confortante per l’avvenire. Come una proiezione sulla vitalità che potrei avere tra quindici anni circa. Oltre ovviamente a dimostrare scientificamente che si può andare in skate e sulla Bmx anche con i capelli bianchi.

Vorrei essere come Dente oggi (una vera rivelazione: ironico, teatrale, divertente e allo stesso tempo romantico e malinconico, ma senza essere -troppo- deprimente, e, non da ultimo, con delle basette fenomenali) e pieno di energie e gioia di vivere domani; poter saltare e scatenarmi per un’ora e mezza senza sosta, proprio come Lou Barlow oggi. E mi piace credere, forse illudermi, di essere già tutto questo.

Insomma, in due serate potrei aver concentrato una vita, così come in poche righe di un post una marea di allucinanti associazioni psico-temporali (leggi: seghe mentali).
È un periodo che penso troppo, decisamente.


p.s. se ne parlo solo ora è perché, oltre a pensare troppo, ho anche un mare di cose da fare.

p.s.2: ma non avrei dovuto, come da titolo, parlare del concerto di Dente?



* Il problema della lettura è che non finisce mai. L’altro giorno ero in una libreria a sfogliare un volume che si intitolava più o meno “I 1001 libri da leggere prima di morire (e, senza far nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno quattrocento dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura –è proprio questo il punto, no?- e uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente morto.

'Cause when I need a friend it's still you

Oh, questa sera al Circolo suonano i Dinosaur Jr. Chi non viene non era adolescente negli anni novanta. Oppure era adolescente, ma preferiva andare in parrocchia. O peggio, si è dimenticato colpevolmente chi è stato e da dove viene.

Io, dato che la parrocchia non la frequentavo, do una spolverata allo skate e vado. Sarà come organizzare una cena delle medie, ma senza Facebook. Sarà tutto un sorrissi ammicànt, un riconoscersi, un salutarsi complice, un ma-tu-c’eri-al-concerto-degli-Smashing-a-Roma-nel-millenovecentonovantasei?! Come una specie di rimpatriata di tristoni e ribelli tardo-adolescenti un po’ più pelati, di sicuro più stanchi, ma disillusi allo stesso modo. Saremo tutti un po’ più giovani, almeno per una sera.

Ci ho ripensato: la cosa peggiore è proprio non essere stati adolescenti negli anni novanta ed essersi persi tutto questo. Ora non ci si saprebbe commuovere vedendo J Mascis che poggia la mano sulla spalla di Lou Barlow.

Stiamo invecchiando, troppo presto.

Giacometto e il senso del sacro

[esterno notte]
- Cos’è quella luce in cima al Monte Sir**o? Sembra un falò da quaggiù…
- È la Madon*a della N**e…
- Ah, finalmente le hanno dato fuoco?
- Cretino.

Something to talk about (part tù)

Anche queste sono recensioni sui generis, scritte come sempre con il suo unico, straordinario e vivace stile, ma coprono un periodo precedente (settembre 2003-giugno 2006). Nick Hornby si conferma per l'ennesima volta scrittore con molte cose da dire. Io, ho già detto tutto qui.

[...] I libri, ammettiamolo, sono meglio di qualunque altra cosa. Se organizzassimo un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d'arte abbia da offrire, sulla distanza di quindici riprese... beh, i libri vincerebbero praticamente sempre. [...]

Scuse sceme per procrastinare incontri (part tù)

- Hai impegni per oggi pomeriggio?
- Mah, niente di particolare… (fatti venire in mente qualcosa, fatti venire in mente qualcosa, fatti venire in mente…)
- Allora vieni con noi a prendere un aperitivo!? Daaaai, è tanto tempo che non usciamo insieme…
- Beh… (ok, questi sono i fatti. Ti sei chiesta i motivi, visto che gli altri amici li vedo e te no?)
- Daaai, così ti faccio vedere il bracciale di Ti**any che mi ha regalato!
- Mmmh… (ti sei risposta da sola. Sei la persona più superficiale che io conosca, parli solo di gioielli e scarpe e ti quanto tutti ti facciano i complimenti per quello che fai e per come sei bella. Non credi che con te mi possa rompere i coglioni, come ogni altro essere umano dovrebbe?)
- Allora, a che ora ci vediamo?
- In realtà avevo intenzione di andare a scattare qualche foto al gazometro… (e questa è la scusa più brillante che ti sia venuta in mente?)
-

La cosa peggiore è, forse, farlo veramente.

Dei dischi che si chiamano come tartarughe (o forse il contrario)


Ormai lo sanno tutti, di sicuro i miei amici, visto il mio pressante e continuo rievocare del lieto evento -almeno così dicono, lasciandomi candidamente perplesso-: a settembre uscirà il nuovo disco dei Pearl Jam. Il primo singolo ufficiale (The Fixer) lo potete ascoltare qui, ma visto il bene che voglio ad entrambi -a voi e ai pj- dovreste sorvolare su quel link. Musicalmente privo di idee e con un testo positive-oriented che come unico risultato finisce per essere scontato e banale, ed apparire forzato. Semplicemente è una canzoncina per farti sorridere e da cantare quando passa per radio. Troppo poco, non è vero? E poi tutto quello che ho sempre cercato nella musica è rabbia e malinconia. O nei libri. O nei film. Oh, insomma, sono fatto così, che ci volete fare? Loro hanno sempre unito questi due elementi ed è anche per questo che li ho sempre amati ed è anche per questo che sono il mio gruppo.

Negli ultimi anni le loro uscite sono molto spesso accompagnate da polemiche e insulti vari, ormai inevitabili come l’alternarsi del giorno e della notte. I più scaltri di voi si saranno accorti che anch’io faccio parte di questa nutrita schiera, ma il fucile puntato non ce l’ho, come tanti pronti a godere quasi di ogni loro passo falso. Critico sì, ma mai con i paraocchi dell’odio.
Ho perso così il gusto di scrivere nei forum (anche quelli dei fan) su queste cose, in bilico sempre tra sterili elenchi di opinioni quando non votati al confronto, sentenze assolutiste (di cui sono comunque the king, sia chiaro), per non parlare di chi si lancia in discorsi sull’inutilità della musica che ormai propongono. Che cosa dovrei rispondere a chi scrive di dischi inutili, oltre ad una lunga sequela rompipalle sull’assurdità del concetto di inutilità applicato alla musica ed all’arte in generale? Un che cazzo dici? Un ma non rompere le palle, sempre a tirare merda su di loro, cos’è una specie di dogma religioso? Ma poi finirebbe nella solita lunga e noiosa rissa telematica. Eppure a volte ci sarebbe anche da gioire.

Insomma, com’è come non è, ultimamente a volte lasciano perplessi anche chi li adora, ma poi lanciano nella rete un regalo che è una pura gemma come il demo-solo-eddie-speriamo-che-non-l’abbiano-rovianata-su-disco di Speed of Sound, che è un guardarsi dentro ed esprimerlo con il linguaggio della poesia. È un aereo che alla velocità del suono lascia una scia bianchissima nel cielo terso dell’estate. Ma non lo dico io, eh. Lo dice il mio stomaco. E capisco che non mi lasceranno mai sconfitto al tappeto, finché sapranno emozionarmi così.
Ho detto che questa canzone è un qualcosa che mi ha riportato indietro di undici anni. Forse, a pensarci bene, ho sbagliato, ho esagerato. Sono tredici.

Avrei potuto annoiarvi con tutti i miei progetti per quest’estate ed invece vi ho annoiato con una canzone.
D’altronde io non scrivo mai su questo blog. Ci scrive il mio stomaco.

Lotta di c(l)asse

Non è che da queste parti si voglia fare a tutti i costi gli intransigenti del proletariato consapevole, quelle son cose che lascerei volentieri al Novecento. Però più di diciotto eurini per il suo nuovo libro, Celestini poteva pure risparmiarseli/celi.
Ho deciso che comprerò il libro quando lo ristamperanno in edizione economica.
La mia privata, personalissima e patetica lotta di classe.

L'amore è una patologia, saprò come estirparla via (cit.)

Praticamente a metà strada tra Campo de' Fiori e Piazza Cairoli, lungo Via dei Giubbonari, si apre un piccola, minuscola piazza dove sta praticamente incastonata tra due palazzi la Chiesa di Santa Barbara e lì c’è anche il ben più popolare Filettaro de' Santa Barbara. Oddio, l’inizio sembra la guida enogastronomica di Roma, meglio farla breve. C’è poi una panchina a Testaccio, il ponte in legno al Portico d’Ottavia, quella palazzina a Monte del Gallo. E mille altre cose. Ci sono alcuni posti che sono nostri, anche se in realtà sono di tutti o di pochi che non siamo, ahimè, noi. E nostri, nonostante tutto, lo saranno per sempre.
Se ve lo stavate chiedendo, no, il titolo del post non riguarda me. Però gli Afterhours l’altra sera a Capannelle hanno sfornato la versione di Ci sono molti modi più intensa e da farti contorcere lo stomaco di sempre, con Manuel a tormentare il piano e ad esaltare noi. Ma questa è un’altra storia.

C’è un amico che ancora si chiede se un giorno le avrà anche lui tutte queste cose, con lei. Se sarà mai così ricco. Se lo chiede da forse troppo tempo e se quel giorno sembra non arrivare mai definitivamente, tutti, a più riprese, abbiamo cercato di fargli capire che forse non arriverà mai. Eppure non è da tutti essere così ostinati e lottare per una ragazza che all’inizio pensavi non te l’avrebbe mollata neanche sotto ipnosi (le ragioni sono complesse e non ve ne sto qui a parlare). Figurarsi ora, che effetto dirompente può avere sentirsi dire
ti amo.
Sì, perché nonostante le apparenze e i lettori bigotti, è di sentimenti che sto parlando. Tornare adolescenti, emozionarsi anche solo sfiorandosi le mani, per poi veder crescere il rapporto e poi baciarsi e poi conoscersi per poi concedersi ed esplorarsi e poi, e vabbè, avete capito. Siete tutte persone adulte e sapete bene in cosa sfociano certe cose.

Inutile negarlo, ognuno di noi ha avuto nella sua vita una storia sentimentalmente travagliata e tormentata e tra le nostre intricate vicende non è mai mancato di sottofondo un fastidioso richiamo all’ordine e alla razionalità, che all’inizio pensi venga da dentro te stesso, per poi accorgerti che è come una nebbia che ti aleggia tutt’intorno: insomma, avevano parlato gli amici. Per l’occasione travestiti da insegnanti di vita e navigati ed esperti atarassici filosofi orientali, prodighi di consigli, di parole ripetute a mo’ di disco rotto e mai di incitamenti. All’apparenza buone e sagge indicazioni, ma che in fondo equivalgono a suggerire ritirati, non-provare-tanto-fallirai, meglio-ora-che-dopo, almeno-cominci-ad-abituarti-all’idea-di-aver-perso. Voglio dire, non mi sembra un gran suggerimento, no? In qualsiasi altro ambito nessuno si sognerebbe mai di dirti certe cose.

Caro amico mio, ci ho pensato molto e sono arrivato alla seguente conclusione: meglio un consiglio positivo che uno negativo. Niente male per un convertito del nonsprecareletueforzeperqualcosachenonavraimai-pensiero, eh? Tanto nessuno li ascolterà mai ‘sti cazzo di consigli. Allora meglio provare fino alla fine, allo sfinimento delle forze. Almeno non vivrai di rimpianti, saprai di aver dato tutto. Meglio godere di quegli attimi rubati all’amore, che ti ripagheranno almeno in parte quando sarai lontano. Graffia via tutta la gioia, tutto il piacere possibile, ora, adesso, in questo moneto. Anche se non sarà pura felicità, è già qualcosa. Costruisciti almeno i tuoi ricordi, che non è poco.

Sono tre anni che non piove

Me, my yoke and I

- che programmi hai per questo fine settimana?

- beh, dovrei vedere i miei amici, dipingere la stanza di arancione, innervosirmi in una cena in famiglia, visitare la Galleria Borghese, tornare al Globe Theatre -che estate sarebbe senza il Globe?- a farci rapire da Shakespeare, festeggiare un anniversario e un compleanno, finire il lavoro -naturalmente il giorno del mio compleanno di domenica, maledetti, ci stanno spremendo- che mi sono portato a casa...

- mmh, niente male per un fan-cats come te... non ti sembra un po' pretenzioso?

- un grande uomo riuscirebbe a fare tutto questo e anche di più.

- un grande uomo non l'avrebbe neanche concepita un'idea così folle...

Anniversari (namber uàn)



nýja lagið from the "ágætis byrjun" launch concert, 12 june 1999, icelandic opera house in reykjavík.
amore etereo.

The Veils, Init, Roma [25.05.2009] -per davvero, eh-


A Finn Andrews manca una certa costanza. Non è riuscito, in tre dischi, a farne uno veramente memorabile, ma se nei dischi si muove tra alti e bassi -seppur tra picchi mostruosi di ispirazione e bravura-, dal vivo ti scarica addosso una tensione costante che ti fa rimanere a bocca aperta per un'ora e mezza, a cercare di respirare dopo i colpi allo stomaco che ti lancia dal palco. Ha dalla sua un'espressione che alcune volte ricorda in modo impressionante il mystery white boy, drammatica e dolente, ma anche tanta personalità.
In più si porta appresso una bassista che in un'altra vita è stata sicuramente una modella, una così bella che quando esci dal locale tra i maschietti è tutto uno sciorinare di oh-ogni-volta-che-mi-voltavo-a-guardarla-mi-stava-fissando, ignorando la figura di merda nel farsi sentire ed il fatto che al 99% degli astanti una così non la mollerebbe neanche sotto ipnosi.

A Finn Andrews sembra riuscire tutto in modo così naturale, tanto da far sembrare facile incantare una folla (a dir la verità troppo piccola, avrebbe meritato molto di più un concerto di questa qualità) dividendosi tra due meravigliose Fender, un cappellone da amish che no toglierà mai, ed il piano, per suonare poi il primo bis solo sul palco, raccogliendo richieste, facendo battute e mettendo a nudo la sua anima in una sofferta e struggente versione acustica di Lavinia, per poi scuoterlo con una scarica di pura elettricità con Jesus For The Jugular. Tutto questo ha un nome, si chiama puro talento, ed io come in poche occasioni mi sono sentito in debito verso un artista su di un palcoscenico, di non conoscere tutte le canzoni a memoria per accompagnarlo nella sua esibizione. Ed invidioso di così tanta arte, in ogni momento, durante ogni canzone, dai passaggi più delicati a quelli più energici.
Di sicuro un concerto così, con così poco pubblico, ha da insegnarti molte cose. Che anche se farai qualcosa di buono, sarai già fortunato se qualcuno se ne accorgerà e, caso ancor più raro, verrà a dirti bravo. Che la grandezza di un uomo non si misura dal suo successo, che la vita non è una gara a chi vende più dischi, a chi raduna più persone ad un concerto, a chi piscia più lontano o a chi ha il pisello più lungo -no, dai, quella del pisello è vera-. Quello che ho visto quella sera di ormai un mese fa, tra tutte quelle emozioni, valeva molto più di tutto questo.

pics by dufresne: 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10

The Veils, Init, Roma [25.05.2009]

[pic by dufresne]

Post Coming soon. Forse. Forse il soon. Ma Giacomino è vivo e lotta con voi.
Intanto questa sera ho visto una casa, che non sarà proprio quella dei miei sogni, ma ad occhi aperti non ho mai sperato di meglio. Tenete le dita incrociate per me, per noi.

Mediterraneo








Si può viaggiare in treno, con l’aereo, ci si può spostare in macchina à la Springsteen, navigare verso mari più o meno lontani o andare affanculo con le parole. Oppure si può viaggiare con la fantasia. Meglio con i ricordi. Pare che quest’anno, causa drammatico imminente trasloco, sarà tutto un per quest’anno non cambiare, steso asfalto, stessa afa. Per fortuna che abito a Roma e che le meraviglie della città mi accompagneranno, altrimenti la depressione si sarebbe già impossessata di me.
Ah, parlavo di ricordi. Tunisia 1997. Pics by me.

Look for the rainbow in every storm


Se gli anni ottanta, dai quali, si sa, non si esce vivi, erano quelli della superficialità, i novanta quelli dell’impegno e un po’ dell’edonismo, i doppio-zero sono stati quelli del vuoto cosmico. E della mancanza di soldi. Se li confronto con la mia storia personale, poco o niente si sovrappone. Tranne, sicuramente, quando parlo di denaro. È Con questa gioiosa premessa mi accingo ad elencarvi una serie di considerazioni che mi sono ballonzolate per la mente in questi giorni, senza peraltro lasciare un grande vuoto.

Tra pochi giorni è il compleanno della persona che rende di ogni mio risveglio una giornata migliore. E li compierà, ma guarda un po’, poco prima dell’agognato nuovo stipendio e dopo un mese di spese impreviste. Ora, non bisogna essere certo un genio della fisica quantistica per calcolare che della mia busta paga sarà rimasto ben poco. E per poco intendo quelle monetine rosse che, quando fumavo, non erano buone neanche per il distributore automatico. Eppure è bastato guardarmi dentro per trovare tutto quello che avrei voluto donarle. Che poi fondamentalmente ogni dono è sempre ricambiato dall’impagabile suo sorriso dopo aver scartato il pacco, che mi riempie così tanto il cuore da farmi pensare a volte che ogni regalo io lo faccia più per me che per lei.

Ma i soldi prima o poi ti servono e la vita ti viene sbattuta in faccia con tutta la sua beffarda trama. E ti mette di fronte a decisioni senza soluzione. Più che importanti, direi impossibili. Tralasciando il fatto che io sia una assoluta e fantasmagorica tesa di cazzo per essermi dimenticato di rinnovare l’iscrizione al fan club dei Pearl Jam (il 10c pell’amici) che mi avrebbe permesso di vederli molto da vicino (altrimenti che concerto sarebbe?), il vero problema si è palesato nella tragica alternativa di rinunciare alle vacanze tanto sospirate insieme a lei. Però ho imparato ad essere ottimista - leggi in totale distacco dalla realtà - e mi sono in fondo convinto che riuscirò a fare entrambe le cose. Perché non posso rinunciare a nessuna delle due. È una questione di pura sopravvivenza. Ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero, racconterò di questa impresa, ne sono certo.

Yate, Abruzzo, IT

Something to talk about

Lo dico ad alta voce: Nick Hornby è il mio eroe.
C’è chi ha come eroe un Matusale*me qualsiasi che si toglie la maglia e ostenta il suo corpo muscoloso da guerriero sotto la curva dopo essere stato espulso per essersi praticamente preso a pugni con un avversario e venir accolto per questo come un eroe da far-west. Non lo dico per invidia, anche se i miei pettorali ricordano più quelli di una mucca che quelli di un cow-boy. Lo ammetto: ho dei seri problemi a gestire il mio rapporto con le persone prepotenti. Percepisco la prepotenza -sul luogo di lavoro, nei rapporti familiari, nel traffico- come la forma più bassa e gretta dell’espressione umana. Non riesco a confrontarmi, forse perché non ammette per sua natura una forma dialettica.
Io invece ho un paladino che vive di narrativa. Non dico che per questo io sia una persona migliore. Voglio dire, un altro mio mito è un cantante che durante i concerti sta sempre ‘mbriaco. Beh, ognuno ha gli eroi che si merita.
Anche se il suo ultimo romanzo (Slam, o Tutto per una ragazza in Italia, che soffre come sempre nella traduzione dei titoli) era più che altro un -come al solito mirabolante- esercizio di stile, c’è sempre in me quest’ansia dettata dall’attesa di ogni suo nuovo libro, romanzo o saggio che sia. Lo comprerò e lo divorerò, già lo so. Sì, a volte anch’io mi muovo per pregiudizi.
Shakespeare scriveva per soldi è una raccolta di recensioni e riflessioni sui libri scritti dagli altri. E viene dopo la sua rubrica, più o meno fissa, che ho sempre seguito avidamente su Internazionale, e che probabilmente ha interrotto per essere più libero nell’esprimere la sua creatività e i suoi giudizi o proprio in previsione del libro. Essì, anche chi scrive ha bisogno di soldi. In quelle pagine della rivista vestiva i suoi soliti abiti: quelli di un autore ironico, divertente, dissacrante, irriverente, intelligente senza mai essere intellettualoide. Da allora mi aspettavo che, prima o poi, potesse raccogliere le sue geniali perle di saggezza in un volume con su scritto il suo nome, ed ora è in tutte le librerie. Oh, meglio del mago Gabriel. Una rubrica quella, dalla quale traspariva tutta la sua grandissima passione per la letteratura. Leggere, per l’amore di farlo. E succede che quando vedi in qualcuno che stimi l’infinito amore per la scrittura, ti viene da sorridere e hai voglia di farlo anche tu, anche se solo su un blog per poche righe messe insieme male e scritte peggio, solo per scoprire che ne sei capace.


Questo è un estratto-manifesto di quella rubrica:

[…] L'acume critico di Tomalin (e questo libro riaccenderà la vostra fede nella critica letteraria) è tale che mi sono messo a rileggere Hardy, anche se ho ripreso solo la sua poesia e non i romanzi. I versi che scrisse subito dopo la morte della sua prima moglie, Emma, sono, come indica Tomalin, decisamente brillanti nella loro…

Ok, penso che se ne siano andati. In genere leggono solo i primi due o tre paragrafi. Sono certo che apprezzeranno la scelta del libro di Tomalin e mi lasceranno in pace per un po'. Ora posso dirvi cos'è successo. I lettori più affezionati ricorderanno che la mia rubrica è uscita regolarmente fino all'autunno del 2006. E quando sono stato allontanato avrete sentito dire che avevo preso "un periodo sabbatico" o "una vacanza". Erano eufemismi per dire che venivo "rieducato". E anche questo è un eufemismo per dire che sono stato sottoposto a un lavaggio del cervello.

Il Polysyllabic Spree, cioè le trecentosessantacinque persone (tra uomini e donne) belle, gelide e spaventose che fanno parte della redazione di The Believer, non ha mai approvato il fatto che leggessi per divertimento. Così, dopo vari avvertimenti, sono stato deportato nelle segrete del loro quartier generale sui monti Appalachi, dove mi hanno somministrato con la forza solo letteratura vera. È un posto orribile: si sentono le urla di gente che non vuole leggere L'arcobaleno della gravità perché è troppo lungo e complicato, o di chi preferirebbe guardarsi Elf invece di quel film di Godard in cui alcune persone sedute su dei carretti leggono ad alta voce poesie rivoluzionarie.

C'era anche la povera Amy Sedaris, laggiù. E non vi posso raccontare cosa le hanno fatto. Vi basti sapere che per un bel po' non avrà più tanta voglia di scherzare. Per fortuna ho visto molti film in cui "i matti" (cioè quelli che vengono etichettati come dementi perché rifiutano di adeguarsi) resistono a tutti i tentativi di piegare la loro volontà. E ne ho tratto qualche idea.

Per esempio, ho nascosto sotto la lingua tutti i romanzi sperimentali sloveni senza vocali che cercavano di farmi leggere e li ho sputati subito dopo. Ne ho fatto una piccola scorta che tenevo nascosta sotto il materasso in modo che, se le cose si fossero messe male, avrei potuto uccidermi leggendoli tutti in una volta. Comunque, se mi sentite raccomandare un libro incomprensibile, vuol dire che hanno ricominciato a sorvegliarmi.

Negli ultimi mesi ho comprato e ho letto molti libri, quindi questa prima rubrica dopo il lavaggio del cervello ha più l'aspetto di una selezione che di un vero e proprio diario. E in ogni caso non posso parlarvi di alcuni degli ultimi romanzi che ho letto perché mi è stato proibito. In particolare hanno censurato uno splendido romanzo che ho finito di leggere dopo un secolo ma che ha ripagato i miei sforzi in modo incalcolabile. Pare che sia stato vietato perché tempo fa il suo autore ha ingravidato un'autorevole componente del Polysyllabic Spree, e lo Spree ritiene che il sesso sia un ostacolo alla fruizione letteraria. Che senso ha una rubrica di libri come questa se devi mentire sui libri che hai letto? […]

Life is funny, but not ha-ha funny

Dicono che ogni esperienza serva a formarti. Dicono che finché sei vivo avrai la voce per raccontarla. Che se perdi la macchina, potrai ricomprarla, che se perdi la casa potrai ricostruirla. Ti dicono che il tempo passa e seppellisce tutto ed è come ovatta isolante verso la paura. Dicono che il futuro si può ricostruire.
Ci sono cicatrici che ti porti dentro e basta che il pavimento sotto di te ti faccia tremare un po’ il culo a farti risvegliare brutti ricordi, anche se sono successi dove le stelle sono tantissime, lontano da qui. Lo vedo intorno a me, in questi giorni maledetti. Ci sono cicatrici che ti porti dentro e basta. Punto.

All apologies


Quattordici anni. Quindici anni fa.
Perché dire altro? Sarebbero tutte scuse.

I funerali dell’anarchico Galli

Se ve lo state chiedendo, il titolo c’entra sì con la mostra sul Futurismo, ma un cazzo con il post. Siamo anche stati alla mostra dedicata a Darwin ed ho scoperto, grazie alla mia formidabile guida-biologa (nonché ammòre) che crediamo di sapere sull’evoluzione molto meno di quello che abbiamo capito. L’ho scritto solo per dimostrarvi che anche se parlo di brufoli non sono una persona superficiale. Ed il fatto che io mi senta in dovere di fare questa premessa la dice lunga sul mio livello di autostima e senso di sicurezza di sé.
Sarà ché sento un bisogno di leggerezza estremo in questo periodo, sarà ché ultimamente la sete e volontà di poter cambiare lavoro (il compenso non è questo, ma la merda è la stessa) non è mai stato così forte e contemporaneamente mai così desolante è sembrato il panorama che ci circonda, sarà perché ti amo, ma non ho mai desiderato così tanto tornare adolescente ed avere come obbligo-piacere sociale solamente quello di dover studiare.
Beh, a ripensarci bene non è che quelli fossero anni proprio spensierati, ma chi non ha avuto un animo più o meno tormentato da adolescente -c’è che ce l’ha, in modo diverso, anche adesso-, è o uno privo di sentimenti o un egoista o un ebete.
Allora, sarà sicuramente per questo pensiero che ha svolazzato nel mio cervelletto per qualche istante che il buon dio mi ha voluto accontentare con uno dei simboli-incubi-fantasmi propri di quell’età: un brufolo del diametro di qualche centimetro proprio in mezzo al viso e che, nel migliore dei casi, sparirà tra 8-10 settimane. Così da poterne parlare nel blog e farmi vivere il mio momento di spensieratezza adolescenziale. Voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida. Non c’è altra spiegazione, un essere così non appartiene a questa terra. Una di quelle cose che ti fanno sentire a disagio appena metti il piede fuori casa ed incroci un essere umano, fosse anche dall’altra parte del marciapiede. Quella fastidiosa ed imbarazzante sensazione di sentirsi fissato da tutti. Ma siccome sono sì un tristone tardo-adolescenziale, ma ho quasi trent’anni e quindi sono molto più saggio, ho capito una cosa fondamentale: non guardavano me, guardavano lui. E in alcuni casi ci hanno anche conversato.

I vestiti nuovi dell’Imperatore

Avete presente la fiaba di Andersen, no? No, non voglio parlare del Pontef**e e della questione dell’uso dei preservativi come prevenzione alla trasmissione dell’Aids e di come tutti, finalmente, abbiano fatto ricorso all’onestà intellettuale ed al coraggio di prendere posizione criticando le sue parole. Non ne voglio parlare, ma mi stavo chiedendo se voi riusciate ad immaginarli i mis*ionari con cetrioli e zucchine intenti ad insegnarne il corretto uso? Come dite, loro li usano già? Vabbè, allora…
Se dico il Re è nudo!, parlo di un altro.

Il segno più evidente della crisi economica che stiamo vivendo

O del degrado dei costumi o di qualsiasi crisi barra luogo comune vi possa venire in mente.
Me, myself and I che non compra questo gioiellino perché costa troppo. Un po’ per mancanza di soldi, un po’ perché incazzato per la cifra immorale. Evento sconcertante se pensate che quest’opera è figlia del gruppo che, ma sarebbe inutile dirvelo, mi accompagna mano nella mano da quindici anni e che, conoscendomi, lo farà per sempre.

Sketches from your sweetheart the ansiogeno

- Se uno non scrive sul suo blog per un sacco di tempo, i motivi possono essere molteplici: si è cagato il cazzo di raccontarsi e raccontare su pagine virtuali che probabilmente in pochi leggeranno, o forse ha trovato qualcosa di meglio da fare, quel qualcosa che gli occupa felicemente ed intensamente la giornata e di cui vorrebbe scriverne come un fiume in piena, ma non trova il tempo per farlo. Oppure, più prosaicamente, ha passato gli ultimi due mesi piegato su dei libri (il sabato e la domenica anche 10 ore), dopo essere stato almeno il doppio delle ore incollato ad un monitor sul posto di lavoro, non lasciandogli il tempo di fare altro, o meglio qualcosa di un po’ più interessante, e non ci vorrebbe molto. Indovinate un po’ quale di queste opzioni mi è toccata in sorte? Ora fate finta di non averlo letto nel precedente post e assecondatemi.

- Eppure in tutto questo tempo, nell’immobilismo della mia situazione, qualcosa intorno è cambiato. Una persona che non rivedrò mai più, al cui ricordo invece di una lacrima ora associo un sorriso al pensiero di quello che mi ha lasciato. Ed una persona che non vedo da (troppo) tempo, di fronte alla quale ora mi sento disarmato senza sapere come comportarmi.

- C’è sempre quella mia collega che se le chiedi una cosa, lei risponde con la storia della sua vita. Più che della sua vita, quella dei suoi parenti. Più che dei suoi parenti, quelli del suo ragazzo. Al massimo delle sue novità in fatto di shopping. Ora, immaginerete di certo senza difficoltà il mio interesse in quelle questioni. Ma io ho imparato da solo quello che nessun libro ci insegnerà mai. Ho deciso che, da ora in poi, farò alla mia collega solo domande secche, che non prevedono risposte più lunghe di un sì od un no. Nell’attesa di metter in pratica questa tecnica, quando sarò costretto a rivolgerle la parola esclusivamente per motivi di lavoro, semplicemente la ignoro.

- Quasi dimenticavo il motivo della mia assenza. Sarà per questo senso di inadeguatezza che spesso mi porto dietro, ma essendo la seconda prova scritta di un concorso di Diritto e considerando questo traguardo un risultato già inaspettato, un dubbio mi ha assalito alla fine della prova. Più precisamente all’inizio durante la lettura delle tracce d’esame. Quelle che penso saranno le risposte giuste ai quesiti me le sono appuntate su di un foglio che, per amore della verità, vi riporto in fotocopia, attestando ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, la conformità all’originale:

Rompo i silenzi

Ma senza dire una parola.
E in quest'afasia che non c'è, mi chiedo se esista veramente qualcosa di più bello dei disegni che tracciano nel cielo gli storni.

Ringrazio Dio, che mi ha fatto troppo poco intelligente [edited]

Fino a marzo non credo che riuscirò a trovare il tempo, e la voglia, di tediarvi con il blog. Tra poco più di un mese ho un esame molto importante e conciliare studio e lavoro assorbe praticamente ogni momento della giornata. E se lui ha smesso di suonare, io posso di certo smettere di scrivere. Almeno per un po’.
Al limite potrei affacciarmi da queste parti durante il prossimo mese se, random:

- dovesse cadere il Governo (però in questo caso lo farei dopo una settimana di festeggiamenti)
- trovassi improvvisamente un lavoro un po’ meno precario e decisamente più pagato
- dovessi finire di leggere un meraviglioso regalo che ho iniziato proprio ora (che tempismo)
- riuscissi a vedere quello che ho già deciso sarà un capolavoro su pellicola
- dovesse smettere di piovere su questa cazzo di città
- riuscissi ad imparare ad avvicinarmi alla mia famiglia senza farmi condizionare dalla negatività
- o, al limite, se dovesse circolare un video porno-amatoriale di Vane**a Incontr**a

Ma la vedo dura.
Stay positive.

Se bastasse Obama [La frase del giorno]

Tempo fa “Vanity Fair” fece un articolo sui dissidenti americani. C’era una bellissima foto di gruppo che ritraeva me, Kurt Vonnegut e Norman Mailer. Quando prendi tre ottuagenari come esempio di opposizione intellettuale, quello è il segnale più evidente che un paese è alla rovina. Da anni, ormai, io li chiamo Stati Uniti dell’Amnesia. Nessuno sembra ricordarsi da dove veniamo...

(Gore Vidal)

Via non-mi-ricordo-la-fonte.

dufresne in “Scuse sceme per procrastinare responsabilità”

Certo che la vita è proprio dura. A volte ti mette di fronte a scelte estreme, da un giorno all’altro. Non bastava lo stato in cui ti riduci quando lei parte per qualche giorno. Quando tu sei the king indiscuss of the stanza, invece di metterti a studiare, pensi bene che sia più istruttivo atteggiarti in mosse da poser e far finta di essere troppo occupato. Allora è inutile che non apri feisbuk da un mese, perché sennò perdo troppo tempo. L’alternativa allo studio era suonare le canzoni degli Arcade Fire con la pianola Bontempi di quando eri piccolo.
Indovinate alla fine che ho fatto?

Oggi un Dio non ho (oddio, ho citato Raf)

Vabbè, la storia la sanno più o meno tutti, quella dei bus a Genova con le scritte dell’UAAR, che in realtà non si leggeranno mai, ora lo sappiamo. Riguardano Dio. Dio, rigorosamente maiuscolo, ché dicono sia un tipo piuttosto incazzoso; una volta ha ucciso tutti i primogeniti in Egitto, non credo si faccia degli scrupoli con un blogger ormai non più tanto giovane.
La questione è semplice, o meglio piuttosto complessa, però risolvibile in poche mosse.
Tecnicamente ogni panegirico e apologia della sua esistenza ha la stessa -nulla- validità di quella di chi si impegna a dimostrare il contrario. Per pura e semplice logica, dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di Lui (non lo nomino più invano, perché a quanto pare si fa rodere pure così, oh, mica solo voi potete essere permalosi) è ugualmente impossibile. Però ho sempre anche pensato che l’onere di dimostrare l’esistenza di qualcosa sia di chi la sostiene. Confutare poi quelle affermazioni sarebbe il compito gravoso di un ateo. Io, da buon agnostico, me ne tiro fuori. Comodo, vero?
Certo, le prove della non-esistenza sarebbero molto più evidenti e sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Ma dicono che esista un disegno divino a noi incomprensibile e che le sofferenze terrene siano solo un passaggio verso la vita eterna. Il problema è appunto questo: il farsi condizionare l’esistenza da una regola, una condotta di vita incerta perché espressa dall’uomo (nella migliore delle ipotesi, ma indimostrabile, dalla volontà divina espressa attraverso l’uomo). È questo il più grande ostacolo per il non credente: l’uomo.
Di sicuro non esiste il dio degli uomini. Con tutte le guerre, saccheggi, violenze, privazioni inflitte in suo nome. Quindi questo vuol dire che qualsiasi confessione religiosa, ed ogni chiesa che da essa è nata, non possiede basi solide. Per basi solide intendo la Storia.
Il vero problema è sapere se esiste l’entità che l’ha creato e che parla a suo nome, nel modo retto o meno che sia.

Credo (strana parola usata in questo contesto, vero?) che anche la celebre
scommessa di Pascal -e da alcuni citata in questi giorni- (conviene credere in Dio, perché: - se Dio esiste, si ottiene la salvezza; - se ci sbagliamo, si è vissuto un’esistenza lieta rispetto alla consapevolezza di finire in polvere) si possa ormai rovesciare. Pur se da un punto di vista puramente edonistico. Non conviene credere in Dio, perché: - se esiste, è molto probabile che si vada dritti all’inferno se non si vive la propria vita secondo dogmi e regole altamente invalidanti; - se ci sbagliamo, si è vissuto un’esistenza molto poco lieta, viste le privazioni alle quali ci siamo sottoposti in suo nome.
Perché, non fate gli ipocriti, secondo tutte le religioni del mondo molti comportamenti ai quali siamo soliti abbandonarci ci spedirebbero direttamente tra le fiamme od in qualsiasi altro modo sia immaginato l’inferno. Mi vengono in mente soprattutto quelli di natura sessuale. Anche scopare per puro piacere, in un atto non diretto alla pura procreazione, quindi in ogni posizione voi amiate contorcervi con il vostro partner. O da soli. O con il vostro cane.
Io sarei condannato dall’età di undici anni. Quanto seme ho disperso. E “per fortuna” che non sono omosessuale (anche se giro con la tracolla, no, non lo sono), altrimenti, probabilmente, non ascolterebbe neanche il mio vigliacco pentimento in punto di morte.
Per non parlare delle innumerevoli volte in cui l’ho bestemmiato, mandato affanculo mio padre, desiderato la donna d’altri, etc… eppure, almeno quelli che mi conoscono, sanno che non sono un mostro. Almeno loro lo sanno, e a me questo basta.
Però la smetto qui, non vorrei esagerare e farmi trasformare per la mia presunzione da un dio vendicativo a caso in un qualche essere con il busto umano, la coda di cavallo, la faccia da rospo e le zampe di caprone. Però, prima di concludere il post un’altra cosa la vorrei scrivkendchoudghpui…



- Senta Dio, quando ho iniziato con l’onanismo non sapevo neanche il significato della parola, quindi non è colpa mia, ero piccolo e ingenuo. Poi, poi, lo sa, è difficile smettere, e così…
- Ma fammi il piacere, guarda che Io c’ero. Me lo ricordo il prete che vi parlava di masturbazione e ve lo piegava nella teoria e nella pratica. No aspè, quello era un altro…
Comunque sia, come la giustifichi allora la tua insana passione per la fellatio?
- Ehm, cosa sarebbe?
- Dai, che non lo posso dire…
- Ho sempre studiato, ma il latino, lo sa meglio di me, è sempre stato il mio punto debole…
- Mi stai prendendo in giro? Ti ho sentito scherzarne con gli amici…
- Ah, giusto. No, veramente, è solo perché è il miglior contraccettivo… (dufresne comincia a sudare)
- È vietato anche quello. E poi, ti ho già avvertito, non prendermi in giro.
- Ah… (dufresne comincia ad intuire l’origine di cotanto calore: le fiamme)
- E come la mettiamo allora con il sesso anale?
- Sbagliavo buco. Sono uomo, quindi imbranato, giusto?
- Guarda che mica sono una femminista, mi volevi veramente imbrogliare con questi mezzucci? Questo è l’ultimo avvertimento.
E comunque non ci sono giustificazioni plausibili e possibili per il tuo uso del preservativo. Di quello non potevi non accorgerti!
- Beh, si ricorda di quella sua legge
Non disperdere il seme?
- Sì, comunque è un Comandamento. E poi ne hai scritto anche nel blog, quindi vieni al dunque.
- Ah, legge il mio blog, mi fa piacere, che onore! Qual è il post che preferisce?
- L’ho letto solo perché leggo tutto e so tutto, non ti montare la testa. E vieni al dunque, che mi sto innervosendo e comincio a sentire caldo.
- Ok, ok (per dufresne in questo momento
sentire caldo è più che latro un eufemismo)…
Dicevo, quella sua leg… comandamento, quello del seme, dice di non disperderlo, no?
- Sì, e allora?
- Lo conservavo nei preservativi…
- Zac!
- Hndw chur hnenchj nruioehn!?

Pietro Ielp Center*

Non fare battute sceme, non fare battute sceme, non fare battute sceme. Me lo immagino così, il valente Peter, con questi imperativi che gli passavano per la testa durante l’incursione delle telecamere della rai nell’ufficio dove lavora. Quei ragazzi se lo meritavano questo servizio, anche se nel risultato finale non traspare perfettamente tutta la fatica, la dedizione, l’impegno e lo sforzo psico-fisico cui sono sottoposti ogni giorno. Diciamo che la loro utenza non appartiene proprio all’umanità che faresti uscire con tua figlia.
Nel video è uno di quelli che non parla. Nel video, perché nella vita credo non riesca a stare zitto per più di trenta secondi. Lì non parla perché fa il finto asociale ed il finto cinico, scudi con cui si protegge, vesti nelle quali ama celarsi, ma alle quali non crede nessuno. Umanità, professionalità e contagiosa simpatia. Sì sì, eil petto gruosso; contento ora? Così me lo immagino al lavoro. Così è nella vita.
Credo l’abbiate capito che sono veramente orgoglione del mio amico.

So, the snowflakefallsinmay distributions is very proud to introduce you to: I senza fissa dimora [by rainews24]

*questa espressione l’ha coniata direttamente il giovine protagonista del post, anche se in pochi la capiranno, ma va bene così.

I am Sam


Sam Beam è nato in South Carolina, ma potrebbe venire tranquillamente da uno sperduto paesino del deserto texano dell’ottocento, nessuno se ne accorgerebbe. Ha un volto senza tempo, come le sue canzoni, che profumano di terra e radici. Uno dei suoi capolavori è Lovesong of the Buzzard, contenuta in quello che per lui è semplicemente il suo ultimo disco (the Shepherd's Dog) e per tutti gli altri un punto di riferimento praticamente irraggiungibile della nuova musica americana.
Qui, otto di quelle canzoni, appaiono asciugate rispetto all’edizione pubblicata su disco, in una versione alternativa solo chitarra e voce che mostra tutta la loro scarna bellezza. Non saranno gli archivi di Neil Young, però... Tra questi demo, una spicca tra tutte, come Venere nel cielo tra le altre stelle. Se possibile, ancora più splendente della versione che ho ascoltato ed amato fin’ora.

Lovesong of the Buzzard (Fall 2007 alternate version) [mp3]

Lo fo che non fono solo, anche quando fono folo

Il mio maestro spirituale, come ogni buona guida che si rispetti, ha un nome esotico. Lavora sotto mentite spoglie nel mio stesso ufficio con le sembianze di un quarantenne sudanese poco avvezzo all’igiene personale. Lui è l’illuminato, il profeta di una vita lontana dai moderni bisogni e costrizioni.
Trova meno soldi in busta paga, e lui, serafico, non si lamenta.
Gli danno appuntamento per l’installazione di una caldaia e lo sequestrano praticamente in casa per quattro ore, senza poi presentarsi, né telefonare per avvertire. E lui, niente, tranquillo il giorno dopo chiama e prende un nuovo appuntamento.
Gli mandano per posta moniti di pignoramenti vari per non aver pagato un servizio-truffa-non-richiesto sul suo cellulare e lui, come se non stesse andando incontro ad una grandissima rottura di coglioni giudiziaria, si deve quasi far convincere a scrivere una lettera di chiarimenti e proteste.
Ci consegnano un modulo per le tasse comprensibile come il codice di Hammurabi e lui, senza perdere l’autocontrollo, pensa bene di uscire dalle sabbie mobili della burocrazia semplicemente non compilandolo.
I maligni dicono che sia solamente un rincoglionito, incosciente e un po’ borderline. Io credo sia un genio zen, un luminare della filosofia dell’autocontrollo. Io, in due o tre dei casi che ho elencato, come minimo avrei urlato e bestemmiato per qualche ora, con conseguenti minacce di morte sparse. No, dai, le minacce no.
Probabilmente quando lo licenzieranno lui continuerà a presentarsi tutte le mattine al lavoro come se nulla fosse cambiato. Senza di lui, a me non resterebbe che chiedere istruttivi consigli alla mia scrivania, che purtroppo di solito, quando interrogata, tende a rimanere in silenzio. Come lui, del resto.

Il dio delle piccole cose

Siòri e siòre, la nuova rubrica di dufresne: “La frase del giorno”.

When I was a kid I used to pray every night for a new bicycle.
Then I realised God doesn’t work that way, so I stole
one and prayed for forgiveness.


(Emo Philips)

Via Banksy.

Seicentottanta

680. Cos’è, l’autobus che porta alla Bufalotta? Il civico dell’Aurelia dove ha la sua pescheria Giggino er pesciarolo? Le donne che Cassano millanta trombarsi in un anno? Niente di tutto questo. Seicentottanta è l’immorale importo della mia busta paga.
Ma che bello, che bello. Tornare al lavoro dopo le feste e ritrovarsi a dover forzatamente spazzare via tutti i buoni propositi e le illusioni che ogni inizio di anno porta nell’immaginario di ognuno. Al di là di quanto possa essere considerato vacuo tutto ciò, al di là delle convenzioni sociali, ognuno fa i conti con il passato e con quello che lo aspetta. È come un rito di purificazione, basta non essere così stupidi da illudersi che il semplice cambio di un numero sul calendario possa portare necessariamente un cambiamento migliore. Mica lo sa il calendario. Però non puoi farci niente, è un gioco al quale, più o meno tutti (vero Peter?), non vogliono sottrarsi. Già, viviamo dandoci regole assurde. E il più delle volte, se si è onesti con se stessi, è un gioco di sottrazioni. Ma io non sono così pessimista, così mica potevo minimamente immaginarmi che al mio ritorno avrei trovato molti meno soldi del previsto in busta paga, le colleghe oche che rompono i timpani, e le palle, con le loro fantastiche e interessantissime storie di shopping per almeno tre, e dico tre, ore di fila. At least, but not the last, i capi che quando passi e li saluti al massimo rispondono con un rapido cenno parkinsoniano della testa. Seicentottanta sono i cv che spedirò nei prossimi giorni. Seicentottanta sono i vaffanculo che ho dedicato a tutti loro.

So this is Christmas


Non sono mai stato bravo a comprendere le cose velocemente. Ed anche le cose che capivo subito, le scordavo presto. Dalla vita, invece, credo di aver imparato un po’ più di lezioni. Voglio dire, ricordo ancora quando iniziò la Rivoluzione Francese e qual è la capitale del Mozambico. La capitale del Mozambico è Maputo e l’Ancien Régime cominciò a sgretolarsi nel 1789. Lo scrivo giusto per non farmi passare da solo come il più totale dei rincoglioniti, non sia mai. Potrei anche citarvi a memoria interi paragrafi di OceanoMare. Di altri libri invece, pur avendoli amati molto, conservo solo le emozioni che mi hanno trasmesso, l’atmosfera che vi si respirava, gli insegnamenti che in qualche modo ne ho tratto; in fondo sono gli aspetti più importanti, no? Ma è passato troppo tempo. Ad esempio, Moby Dick narrava le avventure di un cane perso nella tormenta nei boschi della tundra russa, giusto? No no, la tundra è priva di alberi. Vi avevo avvertito che la mia memoria non copre propriamente il lungo periodo.
Nella vita, oltre ad aver imparato cose e scordate quasi altrettante, ho visto passarmi sotto agli occhi occasioni e speranze, condannato spesso, per colpa mia, ad essere spettatore. O forse, più comodamente, non sono mai stato così fortunato. Ma non avrei mai pensato di dover arrivare alla soglia dei trent’anni per capire che il più bel regalo di Natale non si può acquistare con i soldi. Nessuno può comprarlo o farlo uguale. È tuo, solo tuo, perché per te è stato pensato.
Ho poca memoria, ma certi ricordi rimangono impressi più in quell’organo che pompa il sangue, che nel cervello. E le emozioni non ingannano. Ora so che il più bel regalo è una dedica su di un libro. Sì, quello è stato comprato, altrimenti non ci si può scrive sopra, ma non starei qui a sottilizzare. Impresso su di un pezzo di carta sarebbe stata la stessa cosa. Le parole, oltre ad essere più pesanti, sono anche più importanti degli oggetti, perché te le puoi portare sempre dietro, soprattutto quelle pensate e ricamate su di te.