Forma e sostanza

Voler massimizzare il profitto, per una società, significa, in pratica, scegliere la quantità a discapito della qualità. Apparire forti, anche se non se ne hanno le fondamenta economiche per farlo. Figuriamoci l’autorità morale. Investire pochi soldi per un nuovo lavoro significa pagarne poi le conseguenze, a lungo termine, inevitabilmente. Conseguenze di insoddisfazione e di fallimento.
Ed è lo specchio anche di quello che avviene nella società contemporanea, società in senso sociologico. Società dell’apparenza. E politica delle promesse vacue, perché irrealizzabili. Tutto è legato. Un sottile filo rosso.
Uno dei miei capi, per uno dei lavori che seguiamo nei nostri uffici, ha deciso di adottare questo metodo, triste assioma del capitalismo, senza farne un minimo di studio di previsione. Oh, bastavano due calcoli, mica la laurea (comprata) in economia.
Con il risultato finale di vanificare mesi di sforzi e duro lavoro del sottoscritto e di alcune altre persone.
A me non resta che la possibilità di sputtanarlo su questo blog.
Vendetta, tremenda vendetta.

Secondo una mia statistica molto casalinga, questo blog è letto (saltuariamente) da circa quattro-cinque-massimo-ma-proprio-a-voler-esagerare-sei persone.
Rapporti di forze.

Direi che, dopo tutto, l’elezione del nuovo sindaco della capitale l’ho presa piuttosto bene…


Incredibboli

Sabato sera gli Amari al Circolo (ancora?), rigorosamente aggratise.
Probabilmente non andrò, non ballerò, non mi divertirò, giusto per il gusto di ostentare vergognosamente in questo modo, con un testo intelligente, amaro (ehm) ed arguto, il mio odierno stato d’animo.

Scusa se anche questa notte voglio stare a casa, scusa ho solo stupide parole che ti accompagneranno se mi stai ascoltando, inizio dal fondo, ho bisogno di silenzio, incondizionabile la scelta dell’assenza, posso nascondermi dietro l’alone di una generazione che le rivoluzioni le pensa sul divano, in sottofondo un disco suona piano e accende sensi di colpa, c’è qualcuno che li svende. Scusa se anche questa notte voglio stare a casa, è una scusa un’altra volta. Scusa se anche questa notte voglio stare a casa, devo salvare il mondo. Scusa ma devo vegliare candele da umide soffitte, devo aggiornare il diario di tutte le sconfitte, il gomitolo che poi non userò, un altro anno un altra bella sciarpa, non sarà su quella strada, è troppo presto per scoprire un sassolino nella scarpa, forse un altro giorno poi ci giocherò, forse un altro giorno poi ci giocherò, forse un altro giorno.

Revisionismi / Attualità

Andare a vedere una salma non è che sia poi il massimo dell’allegria, ma in questo caso la circonda un certo alone religioso, quasi mistico, di venerazione. Per questo tutti vi si accostano in silenzio, ma con felicità.
La Chiesa, diciamola tutta, non l’ha mai potuto sopportare e veri miracoli non è riuscito a farne, anzi è diventato simbolo effimero di un qualcosa che non si è mai realizzato; ma allora, perché rappresenta ancora un forte simbolo di riscatto?
Se tanta gente fa la fila per andarlo a vedere, disteso su di un letto, con una maschera di cera sul volto, ci sarà pure un motivo.
Mi viene in mente mio nonno, che me ne parlava spesso. Ricordo i suoi occhi illuminarsi, ed io, nella mia ingenuità di bambino, non capivo, ma ne venivo rapito dai racconti. Non ne coglievo appieno lo spessore, ma pensavo dovesse essere un grand’uomo, una specie di santo, a vederlo di riflesso nella devozione di un uomo più grande di me di molti anni, che della vita aveva esperienza, e che sì, aveva fatto al guerra ed aveva sparato ai nazisti ed allora, cazzo, se ne parlava così bene doveva per forza aver ragione. E poi era mio nonno, e c’erano le partite a pallone che facevamo insieme e le domeniche allo stadio a vedere la Roma, la meraviglia nel vederlo riparare ogni cosa, ed i suoi racconti.
Insomma, c’è questa salma lì distesa e tanta gente in fila per vederla. Si presenta con la sua inconfondibile barbetta, il tempo sembra essersi fermato per un’icona che suscita rispetto e reverenza, così come feroci critiche, un insieme sconfinato di sentimenti contrastanti.
Vorrei andare anche io, prendere il treno e fare molta strada, fino ad arrivare in una terra nella quale non sono mai stato. C’è qualcosa che mi spinge, irrimediabilmente, verso quest’uomo.
Sì, lo so, da me non ve lo aspettereste mai. Ma un legame sentimentale mi lega a questa figura. Fa parte della mia storia, nel bene e nel male. Prima o poi, lo farò.

The Niro, Circolo degli Artisti, Roma [22.04.2008]


[pics by dufresne]
Per chi se lo stesse chiedendo: no, non lavoro al Circolo (uno dei pochi posti che organizza eventi musicali interessanti). I biglietti li pago, poco, ma li pago.
Se poi l’occasione è quella di vedere dal vivo The Niro, allora scrupoli sui soldi non te ne fai proprio. Davide Combusti torna nella sua città e mostra a tutti i presenti che di ordinario in lui c’è ben poco. Vabbè, ‘sta banalità scontata, giocando con il titolo del suo primo EP, l’avranno detta un po’ tutti, ma non ho resistito. Merita come minimo ammirazione, un ragazzo non ancora trent’enne che si è esibito persino all’Auditorium, al quale viene spesso accostato il nome di Jeff Buckley (mica Little Tony), che ha suonato con musicisti dai nomi altisonati in giro per il mondo e che si presenta su un piccolo palco, che ha calcato già molte volte, con un’umiltà spaventosa. Roba che un pincopallo qualsiasi se le tirerebbe più di Manuel Agnelli. Invece lui, come fosse la cosa più normale del mondo incantare un’intera folla di persone incredule per tanto talento, se la cava con i suoi grazie pronunciati in un modo che rivelano tutta la sua timidezza, così in contrasto con la sicurezza che mostra quando suona, e che ti spingono a desiderare di salire sul palco per abbracciarlo. Senza tralasciare il fatto che uno che si sceglie come nome d’arte così geniale, meriterebbe di vendere milioni di dischi. Un concerto perfetto, per la cura degli arrangiamenti, per la grinta, per i musicisti bravissimi che lo accompagnano e per le emozioni che ti sconvolgono dentro. È irresistibile quando, nella sua inconfondibile posa occhi-al-cielo e le sue dita che corrono veloci e precise su quella chitarra, tira fuori una voce profonda e modulabile che ti lascia a bocca spalancata. Tu, sotto il palco, ti rodi d’invidia. E salti di gioia.

OfflagaDiscoPax, Circolo degli Artisti, Roma [17.04.2008]

[pics by dufresne]

Quella degli OfflagaDiscoPax è musica sentimentale per puri cuori socialisti, ma mai algida, come potrebbe suggerire il pregiudizio materialista. Evoca tutto l’immaginario tipico del piccolo sovietico, non manca proprio nulla nelle storie che raccontano. E, visto che c’hanno preso tutto, loro cercano di riempire questo vuoto emotivo mostrandoci le cicatrici che portano impresse nell’anima.
Il concerto scivola via veloce, è una discesa tra ricordi del reggiano anni settanta-ottanta, vita di quartiere, che è un po’ vita di paese e di provincia rossa, vita privata e citazioni di più ampio respiro. Memorie filtrate con l’occhio nostalgico, comunque intelligente, critico e conscio anche delle conseguenze di un passato ormai remoto.
Non è che siano il massimo della simpatia, se ci si accosta con uno sguardo fugace, se si vuole ignorare che tra le spigolature della loro musica e nei loro testi da premio letterario, versi da mandare giù a memoria, si cela anche molta ironia. Ma il pubblico lo sa: balla, pensa, si diverte e si commuove.
Poi, come al solito, arriva Venti Minuti che mi prende il cuore e ne fa quello che vuole. Qualcuno sa perché.

La terza volta fa un po’ più male

Due o tre cose che mi sono passate per la tesa questo pomeriggio.

- Non parlare delle elezioni sul blog, non parlare delle elezioni, non...
- Domenica ho perso del tempo.
- Gli italiani sono un popolo composto da persone in malafede o ignoranti. Probabilmente entrambe le opzioni.
- Gli italiani amano le pratiche sadomaso. Oh, chi sono io per giudicare?
- Non votare è inutile. Così come votare.
- Rialzati, Italia! Qualcuno dovrebbe spiegare a questa terra che per rialzarsi bisogna guardare in alto e non scavare in basso.
- Nell’anno bisestile ho scoperto di essere superstizioso.
- Se lo votano, se lo meritano. Ve lo meritate, Ber****oni, ve lo meritate! (cit. riadattata)
- A furia di piangerci addosso, ci siamo ossidati e stiamo cadendo a pezzi.
- Ho votato il partito che ha perso più voti. Sì, quello fuori dal tempo e dalla storia, con idee anacronistiche. Quello che è crollato. Come l’Italia.
- Alle otto di sera, Em***o Fe*e non era ancora apparso in video. Probabilmente era in bagno a masturbarsi.
- Ha vinto questo paese.
- Non riconoscersi e non appartenere non è mai stato contemporaneamente così alienante e così dolce. Non vinci e non perdi, non sei nessuno.
- Abbiamo perso tutti.

Solo gli stupidi non cambiano mai idea

Infatti sono dieci anni che metto una croce sullo stesso simbolo.

Chris Bathgate, Showcase @ Circolo degli Artisti, Roma [10.04.2008]


[pics by dufresne]

Mamma, è giusto che tu lo sappia: eravamo al massimo trenta persone, ma io ne avrei uccise almeno la metà.
Chris Bathgate suona su quel piccolo palco accompagnato solo dalla sua Telecaster (per inciso, la chitarra più bella del mondo), spesso accarezzata con l’e-bow, e dai pedali con cui gioca mandando in loop i suoi giri di chitarra e la sua voce, donando alle interpretazioni intensità e a noi gli occhi lucidi. La sua musica è semplice e diretta, vive e viene dalle più profonde radici americane. Ce la presenta così, in quarantacinque minuti pieni di classe cristallina e di canzoni a cuore aperto che volano via facili facili. Il tutto senza teatralità, giacca e cravatta, spillette, taglio di capelli cool o le converse. Tutte queste cose stavano nella sala accanto (tre o quattro, honestly, anche addosso a me, ma è dello spirito che parlo) in attesa del concerto dei The Wombats. E una dozzina di rompipalle, appunto, lo aspettavano con noi, parlando a voce alta durante l’esibizione del nostro nuovo eroe romantico e rovinando l’atmosfera di molte canzoni. Voglio dire, pure a me piace ballare, ridere e scherzare, ma la mancanza di rispetto, e l’ignoranza che la genera, è insopportabile. Ma è bastato guardarlo negli occhi e perdersi nella sua voce calda, ovatta isolante verso l’esterno, per farmi gioire di un evento così intimo ed unico.

Yeah, I'm still alive

I più attenti di voi si saranno accorti che non aggiorno il blog da quasi due settimane. In questo periodo ho così tanti impegni da portare avanti, tante cose a cui pensare. Il paradosso è che vorrei fossero ancora di più.
E le cose a cui penso sono più di quelle che riesco a realizzare.
E questo alimenta un corto circuito emotivo.
E questo non è bene.
Dovrei imparare a lasciarmi scorrere tutto addosso, come direbbe la pornostar.
Vorrei riuscire a fare mille cose, tutte con grandi risultati; in pratica vorrei imparare ad essere come il mio amico Pietro. Ieri mi ha fatto ascoltare questa cover per telefono, imparata alla perfezione dopo due settimane, con tanto talento, ma anche con molto impegno e costanza. Ho scoperto anche che il mio telefono ha un’acustica migliore di quella del Palaeur, o comecavolosichiamaora. Ma questa è un’altra storia.

The Aeroplane Flies High (Turns Left, Looks Right) (cit.)

In pratica, il grande ritorno dei post subliminali by dufresne.
Lungi da me dal dare indicazioni di voto, eh.