In poche parole

Ecco le mie vacanze. Una famiglia che mi fa sentire a casa, lei che si riempie di colori e profumi della sua terra. Ed io che con immensa gioia la seguo. Per non parlare del cibo, con il risvolto negativo che nella mia maglietta rossa sembro sempre più il Gabibbo. E a me il Gabibbo sta pure sul cazzo. Poi l’entusiasmo per il ritorno nella mia città, ora nostra. Entusiasmo durato il tempo di realizzare che qui non si respira e che se sono tornato significa che sono finite le ferie. Inoltre si avvicina la sessione di esami all’università. Per fortuna che c’è questa notizia a ridare a giacomino entusiasmo e yeah yeah.



A-a-abbronzatissimo

Annuncio per i millemila visitatori giornalieri del mio blog, che, a quanto pare, è frequentato da bloggers di tutto l'emisfero, soprattutto da abitanti in quei luoghi non ancora raggiunti dalla rete. Domani parto. Finalmente.
Vado qui. C'è tutto: la montagna e il mare.
Ma soprattutto, c'è LEI.

[photo dy dufresne]

Partirò con la macchina, insieme al mio amico P. Durante il viaggio prevedo che ci lanceremo in una delle nostre tipiche dotte conversazioni da principini dell'Ottocento, come quella di ieri sera: il sesso orale. Vabbè, vado a fare la valigia.

Arrivooooooooooooooooooooooooooooo

L'ombra del vento

[...] Solo allora - le dissi - avevo compreso che si trattava di una storia di gente sola, di assenza e di perdita e che proprio per questo vi avevo cercato rifugio, fino a confonderla con la mia vita. Che mi sentivo come chi fugge nelle pagine di un romanzo perché gli oggetti del suo amore sono soltanto ombre che vivono nell'anima di uno sconosciuto. [...]

L'ombra del vento, Carlos Ruiz Zafón



Ho sempre avuto l'abitudine di arrivare verso la fine di un libro e passare tempi infiniti prima di decidermi a leggere le ultime pagine. Delle volte sono state ore, pomeriggi, nottate, giorni. Una volta il tempo impiegato a rileggerlo per la seconda volta. Fin lì, fino ad arrivare quasi alla conclusione. Non è che questo comportamento clinico accada per ogni libro. Solo quando mi trovo tra le mani parole che mi catturano completamente, che mi emozionano come solo poche cose nella vita possono fare. Ecco, per quei libri riservo questo comportamento che, evidemtemente, è sintomo del fatto che soffro di malinconia acuta. Nostalgia per una storia che diventa passato nel momento esatto che faccio scorrere i miei occhi sull'ultima parola. Così in tutti i modi mi sforzo di renderlo vivo, fin quando lo leggo, fin quando quel segno che lascio sarà lì ad aspettarmi, insieme alle pagine che mi rimangono. Chiudere il libro poi, è come relegare tutto ad un mondo che sarà per sempre mio, ma solo nei ricordi. Tutti noi ci portiamo dietro, nella coscienza, nel cuore, quello che abbiamo letto. E tutte quelle cose che ci hanno insegnato. Per primo a sognare.
Tutto questo per dire che sto finendo di leggere L'ombra del vento.

Vento di assenza e di perdita.

Bansky


Roma è la città con più km. al mondo di muri imbrattati da scritte senza senso e se un senso lo avessero sarebbe che questa umanità male assortita di ggiovani ribelli e puri vandali è troppo ignorante per scrivere qualcosa di sensato. Pensano di esprimersi così, di lasciare un segno del loro passaggio. Io un segno lo lascerei volentieri sul loro viso, applausi per fibra e fuori dai coglioni. Ogni tanto, però, si intravedono sprazzi di genialità, di arte.
Vorrei che i muri di Londra, e non solo, si trasferissero qui.

Immagine in cornice

Certi eventi ti fanno persino desiderare che le ferie passino in un lampo. Perché questo comporterebbe l'avvicinarsi di quel giorno. Il monataggio sembra entusiasmante.
La copertina* ritrae Eddie che spazza il guano, perché quello sta facendo, sul campanile della Piazza del Duomo di Pistoia. Priceless. La grafica della copertina vintage è stata un'ottima scelta, è stupenda. Inoltre quella foto, così evocativa, credo rifletta pienamente lo spirito del dvd, quello di riprendere la band anche negli aspetti che non sono strettamente musicali, nei momenti vissuti lontano dal palcoscenico.

- your name is?
- pearl jam
- like the jam!
- yeah yeah... i don't know the meaning.

Priceless again.

* grazie a http://fuelfriends.blogspot.com/

Home sweet home

Domani mi aspetta una giornata all'Ikea, la mia amata Ikea*, che se avessi i soldi mi ci arrederei tutta la casa. Se avessi una casa. Mi riferisco ad una casa di proprietà; lo dico per quelli di voi psicorigidi come me che vi starete già immaginando il sottoscritto che vive sotto un ponte ed aggiorna il blog, chissà, da un internet point. Ok, scongiuri volgari assicurati dopo questa frase. Il vero problema in questo momento è però un altro: dovrò caricare sulla mia piccola (e mai come in questo momento mi è sembrata così piccola) seicento, 2 materassi, 4 grandi scatole in alluminio, un lampadario ed uno sgabello in legno. Domani dovrò pensare a come incastrare il tutto, probabilmente fallendo nel mio proposito e finendo con il legare i materassi citati sopra il tetto della macchina. Emigrant style.
Sarà meglio che vada a dormire, si sa che le idee geniali svegliano all'improvviso.
Speriamo non prima di mezzogiorno.



* per chi non lo sapesse, Ikea è quel negozio dove alla cassa ti ritrovi un fantastico cartello che recita: "Ti piace la borsa gialla? Acquistane una blu!".

Touch me, I'm sick


Da quando ho letto la trama, e visto il trailer (in inglese), desidero sempre più vederlo.
Moore sarà pure acido e simpatico come un dito nel culo, ma i suoi documentari sono sempre un pugno nello stomaco. Di quelli che fanno bene, quelli di un amico che vuole farti reagire e svegliare. Spero solo che lo vedano molti italiani ed aprano gli occhi sui rischi delle privatizzazioni incontrollate, su un sistema cinico e senza umanità.

Picture in a frame

[photo by dufresne]

L'ultimo anno ha il profumo di una crema ed il sapore di troppe sigarette fumate insieme.
Ha il colore chiaro di due occhi grandi che ti guardano curiosi e vivaci.
L'ultimo anno ha il suono dei passi nei vicoli di Roma. E gli occhi che si posano sui particolari, nelle piccole cose, che sono l'essenza della vita. Dietro le quali c'è un mondo, che ora è il nostro.
È che tutto ormai si è trsformato da io in noi.
È un anno e un mese che non piove.

E non accettare caramelle dagli sconosciuti!



Puntuale come ogni anno arrivano gli incendi, gli omicidi di gente impazzita per il caldo e le tette al vento sulle spiagge trasmesse da pseudo-telegiornali, è anche per il sottoscritto il momento di grandi cacamenti di cazzo. C’è sempre un periodo dell’estate in cui rimani da solo in città, quando se non parti con gli amici o la tua ragazza, loro sono partiti già. Magari ognuno al suo paese di origine, eh, niente di che. O per vacanze che tu non puoi permetterti. Sono certo ne converrete che il rischio di fare la fine di Oblomov è quasi scontato. Fortuna che c’è A. a farmi compagnia, come anche ieri sera.

Da qualche settimana ricevo degli sms da una gentile sconosciuta, ribattezzata dal sottoscritto chicazzè?. Così compaiono i suoi messaggi sul mio cellulare, come mittente chicazzè?. Non avendo lei ancora capito che li spedisce alla persona sbagliata, sere fa ho ricevuto l’avviso che mi sarebbe venuta a prendere per andare al mare la domenica alle 8:00. Allora, dico io, se dovessi venire a citofonarmi la domenica mattina alle otto, vuol dire che hai deciso di tentare la carta della metempsicosi, morire e reincarnarti in un altro essere più intelligente. Quattro sere fa mi spedisce invece un messaggio molto più interessante: “Shakespeare al Globe Theatre”. Incuriosito, leggo che in questi giorni una compagnia (che poi scoprirò bravissima) sta portando in scena Racconto d’Inverno.

Così ieri sera mi sono immerso in un mondo di magia, di drammi ed irriverente ironia interpretati da una compagnia che si presenta anche con balli, musica, canti e lacrime. Tutto questo ho trovato nello splendido teatro del Globe, ricostruzione fedele sul modello dei teatri elisabettiani nei quali Shakespeare in persona portava le sue opere: una meraviglia di legno e con il palco illuminato dalle stelle.

Dagli sconosciuti, le caramelle no. I consigli, sì.

Memories (like fingerprints)


ché poi le distanze ora posso
misurarle in centimetri



ché se la vita pensi sia quella passata
non hai futuro
mentre ora capisci che veramente
così intensamente stai vivendo solo ora




ché anche se il tempo a volte
non mi lascia spazio per respirare
mi rimane sempre quell’attimo per fermarmi
e pensare a quanto sono fortunato



ché poi rialzarsi dopo aver inciampato
non è mai stato così facile
ché la vita è sì complicata, ma si finisce
per rendesi conto di quanto
la felicità sia anche ridere per nulla
o un ricordo che si può solo capire in due




[photos by dufresne - se ci cliccate sopra potete vederle nella dimensione originale. come la solito, insomma. però è possibile farlo solo con le prime due, non chiedetemi perché]

Wish I was so serious, but I found Broken Social Scene



Tanto lo sò già che se l'avete ascoltato penserete quello che hanno scritto tutti i blogger musicali che la sanno più lunga: che questo disco può considerarsi più la nuova fatica dei Broken Social Scene che non un album solista di Kevin Drew. Di sicuro i musicisti presenti tra quelle note sono proprio i canadesi che hanno sfornato due dei dischi più entusiasmanti provenienti dalla parte più fredda del continente americano. Che siano artisti eccentrici lo si era capito da tempo, ma far firmare un disco ad uno solo dei componenti un motivo recondito lo dovrà pure avere. Sarà che mi sto rincoglionendo, perché ho passato un quarto d'ora a fissare Kevin mangiare cereali (dopo essere stato ingannato passando di qui, e ora ve lo beccate pure voi) mentre ascoltavo il disco, ma lo spirit del belloccio del combo canadese più influente degli ultimi anni riesco a sentirlo tutto.
Disco che sicuramente andrà a consumare il mio lettore.
Lo sta già facendo.

Where is my mind


Mentre altri staranno dormendo, facendo all'ammòre, andando a trans, oppure organizzando gare clandestine che vanno tanto di moda a Roma su quei viali dove, invece di dormire, molti vanno a trans per fare all'ammòre, nella notte tra domenica e lunedì, alle 3, io sarò qui. Prima e dopo aver fatto all'ammòre. Con la mia ragazza, ovviamònt.
E voi, pronti a cantare, urlare, saltare, ballare, ridere e piangere con me?

Masters of war

Marcuse teorizzò il controllo delle masse per mezzo della paura e questo avviene da sempre, in ogni regime, democratico o totalitario che sia.
Quanto la vita in comune diviene inostenibile, si creano opere di riconciliazione nazionale, si tende ad unire, forzatamente ad unire un popolo, come sempre ignaro, oltre che diviso da odi antichi e recenti. Come può succedere tra curdi, sciiti, sunniti. Ecco, cosa c'è di meglio nell'inserire in una squadra di calcio etnie e confessioni diverse e far vincere questa squadra nella più prestigiosa competizione sportiva? Può essere un caso che avvenga proprio ora, può essere di no.
Io, oltre ad essere cacacazzi, ho imparato a dubitare.

Revisited

Ieri ascoltavo un vecchio disco, a dire il vero la sua ultima canzone, perché tra quelle note si nasconde una piccola storia. Oggi la scrivo, perché mi piace raccontarla. Il 17 maggio del 1966 Bob Dylan suona alla Free Trade Hall di Manchester, il celebre concerto che girava come bootleg suonato alla “Royal Albert Hall” (quando è stato stampato ufficialmente nel ’98 come vol.4 della “Bootleg Series” è rimasto infatti quel titolo). Quello era il periodo durante il quale Dylan stava operando la sua svolta musicale verso canzoni elettriche e blues, e dai testi con un contenuto meno sociale; santa svolta, io lo preferisco decisamente così. Quindi divideva i concerti in due parti, la prima con il set folk, la seconda molto più tirata; per tutti questi motivi non viveva un periodo di facili rapporti con il suo pubblico, che era diviso ogni serata tra il criticarlo e l’osannarlo... Il conecrto a Manchester non è stato diverso: verso la fine un ragazzo grida “Judas!” rivolto a Dylan e buona parte del pubblico lo applaude, quello che lo vorrebbe sempre ancorato alla sua chitarra acustica, alle canzoni folk. Dylan gli risponde “I don’t believe you... you’re a liar!”, suona qualche accordo, poi si gira verso il gruppo, ma i microfoni registrano comunque questo momento e lo immortalano per sempre, e lo esorta: “Play fuckin’ loud!”. E, mentre il gruppo si lancia in una fantastica e rumorosa versione di “Like A Rolling Stone”, Bob canta con un trasporto raro. Perché non si lasciava condizionare dagli altri, non cantava quello che la gente voleva, e si aspettava, da lui; noncurante delle contestazioni suonava la musica che sentiva salire dal suo stomaco. Alla fine solo applausi. Aveva ragione lui.

Cazz, mi si è sputtanated il post prcedente...

Dopo le molteplici segnalazioni e ancor più prese per il culo, è stato cambiato il titolo del dvd in Immagine in cornice.
Prima era Immagine nel telaio.
Sapevatelo.