Il ministero dei casi speciali

Di Nathan Englander. L'Argentina, gli anni bui e la libertà. Il prossimo libro che leggerò, dopo averlo scoperto grazie ad una recensione presente su una nota rivista per lobotomizzati, Van**y F**r. Roba da spettatore medio di Lu*****lo.
Vabbè, intanto vado a comprarmi una cosetta...
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Argentina, 1976. La "guerra sporca'. la 'junta' militare, i primi 'desaparecidos'. Kaddish Poznan è l'unico fra gli eredi degli appartenenti alla Società dell'Impulso Generoso, che un tempo riuniva prostitute e ruffiani ebrei di Buenos Aires, ad ammettere le proprie origini di 'hijo de puta'. Gli altri discendenti dell'ignominiosa combriccola lo pagano perché penetri di notte nel cimitero ebraico a cancellare i loro ormai onorati cognomi dalle lapidi. Questa simbolica cancellazione del passato assume tragici connotati di realtà quando Pato, il figlio studente di Kaddish e di sua moglie Lillian, viene prelevato dalla polizia e scompare in un buco nero che sembra inghiottire ogni traccia della sua esistenza. Comincia così la ricerca dei due genitori, prima affannosa, poi estenuante, infine disperata, man mano che davanti ai loro occhi si dispiega l'agghiacciante realtà di una dittatura che cancella le persone come se non fossero mai esistite. Lungo il percorso i due si rivolgono in cerca di aiuto a una serie di personaggi già conosciuti che rivelano il loro vero volto: la moglie di un generale che culla tra le braccia un bambino rubato; il chirurgo plastico che offre a entrambi un naso nuovo e a Kaddish un'informazione che nessuno vorrebbe mai ricevere; un ambiguo prete cattolico e un rabbino spaventato e impotente; un "navigatore" testimone e complice dei "voli della morte"... Per approdare infine al Ministero dei casi speciali, luogo surreale, kafkiano, dove vanno a infrangersi le speranze dei parenti di tutti i desaparecidos.Questo romanzo è il primo dell'autore della fortunatissima raccolta di racconti "Per alleviare insopportabili impulsi". Nathan Englander racconta una storia terribile e carica di pathos, in una scrittura che si colloca nella tradizione di Gogol e I.B. Singer, mescolando il tragico all'assurdo, il comico al grottesco, con grande forza e profondissima umanità. [da Bol.it]

Yogurt

Non ricordo nemmeno come fosse nata la discussione, so solo che me ne sono uscito con un "noo, sarebbe troppo frustrante per me rimanere a casa a fare il casalingo, mentre la mia ragazza se ne va al lavoro; ho bisogno di sentirmi realizza..". Ancor prima di riuscire a dire il "to", e sicuramente ignorando tutto il mio rispetto per le donne, una mia collega mi ha rimproverato sostenendo che se ci sono state così tante donne costrette a farlo per secoli, avrei potuto farlo anche io. Praticamente pensava fosse scandaloso che io mi lamentassi. Tutto questo senza che riuscisse a spiegarmi due elementari cosette. Perché dovrei espiare io le colpe degli altri? Cos'è, una specie di peccato originale che mi devo portare sulle spalle?
Certe volte vorrei essere cinico, così le avrei risposto con due elementari conclusioni, per la gioia di tutte le femministe. Probabilmente era in quei giorni lì. Sicuramente scopa troppo poco.
Putroppo, o per fortuna, non sono uno stronzo.

Ice-cream eating mo fo.

Non è, per me, né la pioggia, né il freddo a segnare la fine dell'estate. È quando non ho più voglia di gelati che si mette male...

So, the 2007 Best name for an ice-cream award goes to (trrrrrrrrrrrrr... ehm, sarebbe un rullo di tamburi): the Kinde'! Sì, scritto proprio così e messo ad indicazione di un invitante gelato. Non capendo il cartellino, chiedo:

- Mmh, che gusto è quello?
- Er Kinde'. C'è er cioccolato bianco, er cioccolato nero... come oovetto Kinde', no?!

Nostalgia, nostalgia canaglia, che ti prende proprio quando non vuoooi...

chevelodicoafare. vita logos. 1994.

Giorni fa cercavo di mettere ordine tra le mie vecchie musicassette, impresa improbabile ed anche un po’ insensata. Mi sono ritrovato tra le mani un mondo, piccolo e sicuramente antico. Non le rimpiango; i rimpianti li lascio per le cose che avrei potuto fare. Comunque nostalgia tanta, anche perché sono per natura malinconico. Ricordo ancora l’attimo esatto in cui la mia autoradio esalò l’ultima nota, con conseguente reazione inconsulta del sottoscritto, roba da film apocalittico di cattivo gusto ammeregano. Ma in questo caso il lieto fine non c’è stato, lo stereo non si è ripreso mai più. Le ho provate tutte: le imprecazioni, la violenza, le preghiere, la comprensione. Ed invece se ne è rimasto così, con la cassetta dei Turin Brakes incastrata tra i suoi meccanismi, portandosi via tutti quei gesti, quasi sacri: controllare la durata del ciddì, prendere la cassetta da novanta, ché tanto se avanza spazio ci infilo pure l’ep e vafangulo, premere circa trenta tasti e stare attenti che non cominci a registrare alla cazzo nell’altro lato. Le cassette da allora sono rimaste a prendere polvere nella libreria. Tutte quelle custodie con i loghi dei gruppi riprodotti il più fedelmente possibile, da quando avevo undici anni. Mini opere d’arte in quell’epoca semi-analogica. Tra loro il gioiello più prezioso: la cassetta del Monkeywrench, registrato direttamente dalla radio. E via di lacrimuccia. Poi sono venuti fuori tutti quegli scheletri nell’armadio (anzi, nella libreria), che tenevo lontani dai miei occhi e dai miei ricordi. C’è tutta la cattiva coscienza dell’indie rocker, cose che voi umani... Allora nascondo le mie spillette indie-fighe, metto le Converse nella scarpiera, trattengo il respiro e faccio outing:

- Ho una, solo una giuro, cassetta di Queen.
- C’è anche 2Pac. Sì, proprio lui, il rapper.
- Per non parlare dei Poison. Neither the dogs, manco a li cani.
- Perché ci sono i Modena City Ramblers? Sicuramente qualcuno si è introdotto di nascosto in casa e...
- Ho una collezione a dir poco imbarazzante di gruppi metal. Shame on me.
- La perla: il primo disco di Gianluca Grignani... modestamònt.
- Oggesù, c’è Vasco Rossi.
- Vi ricordate di una canzone dei Babylon Zoo che non sia la loro orrenda Sapceman? Io no. Però ho il loro disco...
- At least, but not the last: i Green Day. Kurt Cobain è vivo e lotta con noi.

Per chi non lo avesse capito, questo è un blog

Lo ammetto, credevo fosse più facile; o semplicemente mi sono sopravvalutato. Lavorare (tra l’altro questo mese sto campando con 100 eurini in meno nella mia busta paga, grazie ad un errore della signora della contabilità, da noi ormai ribattezzata per praticità quella grandissima zoccola) e poi tornare a casa per studiare è facile quanto scalare l’Everest d’inverno. Mancano le energie e manca il tempo. Tempo poi sottratto alle passioni: la musica, i libri, i film, le mostre. Cose stupide ed inutili.

Non è che qualcuno avrebbe delle ore da prestarmi?

I now walk into the wild


Sarà stato il 1996 quando ho intuito per la prima volta che Eddie Vedder fosse fatto di carne ed ossa. Avevo sedici anni, quando scese per la prima volta sulla terra. Allora pensavo che il suo appello cago e puzzo, sono reale, unisciti al club, non mi riguardasse e fosse indirizzato alle altre migliaia di esaltati, che ne fossi in qualche modo esente. Allora andavo in giro presentandomi a qualche nuova conoscenza con un ciao-sono-piergiacomo-e-quando-avrò-un-figlio-lo-chiamerò-edoardo. Ecco, questa cosa la penso ancora, ma ora evito di dirlo in giro con tanta leggerezza, onde evitare figure di merda, ché già ne faccio abbastanza. E poi a ventisette anni avrebbe tutta l’aria di una presentazione da subnormale e psicopatico.


La musica per me è sempre stata emotività e mai potrei prescindere da questo aspetto quando ascolto un disco, di qualsiasi artista si tratti. Emotività, insieme all’amore e curiosità per i particolari, per le sfumature; come già ho scritto, è lì che si trova la vera essenza delle cose. Ed una buona dose di intolleranza, lo ammetto, per la superficialità. Così l’esperienza musicale (termine assai riduttivo) più entusiasmante che mi sia mai capitata è stata quella di conoscere i peggèm, perché è un amore che dura da tredici anni e non ha mai conosciuto momenti di crisi. Senza però rinunciare a criticarli per qualche canzone oscena o per iniziative che non ho condiviso.
Alla fatidica domanda su quale canzone avessi voluto scrivere, non cito mai i five against one di Seattle, perché non potrei mai immaginare la mia vita senza una loro canzone. Piuttosto vi risponderei Lua dei Bright Eyes, proprio con quella voce tremante di Conor Oberst. O Death Of An Interior Decorator dei Death Cab For Cutie... cose così, insomma.


Tutto questo per dirvi che non potete certo pretendere da me di essere più di tanto obiettivo su un disco solista di Eddie (una colonna sonora, per fare la parte del cagacazzi). Chi mi conosce, mi sopporta per questo, o almeno fa finta. Sarà una settimana che non ascolto altro, quindi mi sbilancio su una gamba sola e vi dico che Into the wild contiene le canzoni più... naaa, non ve lo dico. Lo sapete già.

Try walking in our shoes


What I want from you

Ci sono tesori che vorresti solo per te, perché sono legati ad emozioni che solo tu puoi ricordare. Un telefono e dall’altra parte una persona lontana, ma sempre vicina.
Ci sono tesori che vorresti solo per te. Sarà per gelosia, egoismo, o solo perché hai paura di perderli.
Ci sono cose destinate a rimanere: le poesie di Rilke, il volo di Jurij Gagarin, la vittoria ai Mondiali. Alcune eterne solo per te.
La mia canzone dell’anno.

Rootless tree – Damien Rice [live, Roma - 19.07.07; in pratica, il mio primo post]

Indovina chi

Non c’è niente di più tedioso dell’attesa che arrivi il tuo turno dal medico. Un po’ come quando eri piccolo ed eri costretto ad accompagnare tua madre nella lunga sfilata davanti le vetrine dei negozi. Due palle immense, insomma. Che poi anche dal medico ti accompagnava, ma la noia non era certo colpa sua. Ora che sei grande, solo d’età eh, dal dottore ci vai da solo. Anzi non sei solo, perché ti porti dietro un’ingombrante compagnia: la carogna che ti è salita sulle spalle. Neanche il tuo lettore mp3 (poi perché fare lo sborone con 5 giga, se poi ascolto da giorni sempre lo stesso disco? mah...) riesce a risollevare le tue sorti, l’attesa ti snerva e non c’è niente da fare.
Però potresti avere la fortuna di incontrare un volto amico, poter scambiare due parole, far passare più velocemente questo tempo.
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When I walk beside her/ I am the better man/ when I look to leave her/ I always stagger back again/ once I built an ivory tower/ so I could worship from above/ and when I climbed down to be set free/ she took me in again...

(pause
//)
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Lui: Uè, ciaaaao! (Espressione del tipo “Certo che ti sei ridotto male, eh…”)
Io: C-c-ciao! (Espressione tra lo stupito e lo scazzato) – Se, vabbè, qua-qua-qua-qua-quandooo
L: Come stai? Non ci vediamo da anni…
I: Eh, è vero... - E ci sarà pure un perché, no?…
L: Allora, come te la passi?
I: Me la cavo. – Se vabbè, “Io speriamo che me la cavo”... E tu?
L: Benissimo. Lavoro nell’agenzia di mio padre; guadagno duemila testoni al mese...
I: Aah, complimenti. – E me lo dici così? Duemila testate ti darei...
L: Allora, come sta Tizio? E Caio?
I: Non lo so proprio, non li vedo da molto tempo... - Ma tu guarda chi è andato a ripescare questo...
L: Invece tu che lavoro fai?
I: Beh, un lavoro da frustrato-derubato-sottomesso-sfruttato-malpagato-e-ti-amo-mari-ù-ù-ù-ù (Sorriso, espressione ammiccante e orgoglio insàid per la citazione "brillante") - Chissà se l’ha colta?!...
L: ? (Con un’espressione degna di Buster Keaton)
I: …
I: …
I: …
I: Che c’è? – E te pareva...
L: Vabbè, io devo andare. Ci vediamo...
I: A presto...

E mi lascia lì, con la mia citazione ed il mio orgoglio andati a male.
Senza il tempo per rivolgergli una fondamentale domanda.
Sì, ma tu, di preciso, chi cazzo sei?
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(play >>)

There's a biiiiiiiig/ a big hard sun/ beaten on the big people/ in the big hard wooorld...

War, huh, yeah, what is it good for?


Ok, è quasi giunto il momento. Lunedì mattina inizierà la vendita dei biglietti per il concerto del Boss.
Nell’ultimo tour elettrico suonato nei palazzetti, i biglietti sono stati venduti tutti in due-minuti-e-quaratacinque-secondi. Più o meno la durata di un mio rapporto sessuale.
E quant’è vero iddìo, se quando arrivo al punto vendita non se ne trovano già più, perché qualche fottuto bagarino se li è accattati tutti in trentasette secondi (più o meno la durata di un suo rapporto sessuale), tiro fuori il lanciafiamme, e chi c’è c’è. Sarà una guerra.

Se non dovessi farcela, sappiate che, seppur a vario titolo, vi ho voluto bene.