I now walk into the wild


Sarà stato il 1996 quando ho intuito per la prima volta che Eddie Vedder fosse fatto di carne ed ossa. Avevo sedici anni, quando scese per la prima volta sulla terra. Allora pensavo che il suo appello cago e puzzo, sono reale, unisciti al club, non mi riguardasse e fosse indirizzato alle altre migliaia di esaltati, che ne fossi in qualche modo esente. Allora andavo in giro presentandomi a qualche nuova conoscenza con un ciao-sono-piergiacomo-e-quando-avrò-un-figlio-lo-chiamerò-edoardo. Ecco, questa cosa la penso ancora, ma ora evito di dirlo in giro con tanta leggerezza, onde evitare figure di merda, ché già ne faccio abbastanza. E poi a ventisette anni avrebbe tutta l’aria di una presentazione da subnormale e psicopatico.


La musica per me è sempre stata emotività e mai potrei prescindere da questo aspetto quando ascolto un disco, di qualsiasi artista si tratti. Emotività, insieme all’amore e curiosità per i particolari, per le sfumature; come già ho scritto, è lì che si trova la vera essenza delle cose. Ed una buona dose di intolleranza, lo ammetto, per la superficialità. Così l’esperienza musicale (termine assai riduttivo) più entusiasmante che mi sia mai capitata è stata quella di conoscere i peggèm, perché è un amore che dura da tredici anni e non ha mai conosciuto momenti di crisi. Senza però rinunciare a criticarli per qualche canzone oscena o per iniziative che non ho condiviso.
Alla fatidica domanda su quale canzone avessi voluto scrivere, non cito mai i five against one di Seattle, perché non potrei mai immaginare la mia vita senza una loro canzone. Piuttosto vi risponderei Lua dei Bright Eyes, proprio con quella voce tremante di Conor Oberst. O Death Of An Interior Decorator dei Death Cab For Cutie... cose così, insomma.


Tutto questo per dirvi che non potete certo pretendere da me di essere più di tanto obiettivo su un disco solista di Eddie (una colonna sonora, per fare la parte del cagacazzi). Chi mi conosce, mi sopporta per questo, o almeno fa finta. Sarà una settimana che non ascolto altro, quindi mi sbilancio su una gamba sola e vi dico che Into the wild contiene le canzoni più... naaa, non ve lo dico. Lo sapete già.

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