The Veils, Init, Roma [25.05.2009] -per davvero, eh-


A Finn Andrews manca una certa costanza. Non è riuscito, in tre dischi, a farne uno veramente memorabile, ma se nei dischi si muove tra alti e bassi -seppur tra picchi mostruosi di ispirazione e bravura-, dal vivo ti scarica addosso una tensione costante che ti fa rimanere a bocca aperta per un'ora e mezza, a cercare di respirare dopo i colpi allo stomaco che ti lancia dal palco. Ha dalla sua un'espressione che alcune volte ricorda in modo impressionante il mystery white boy, drammatica e dolente, ma anche tanta personalità.
In più si porta appresso una bassista che in un'altra vita è stata sicuramente una modella, una così bella che quando esci dal locale tra i maschietti è tutto uno sciorinare di oh-ogni-volta-che-mi-voltavo-a-guardarla-mi-stava-fissando, ignorando la figura di merda nel farsi sentire ed il fatto che al 99% degli astanti una così non la mollerebbe neanche sotto ipnosi.

A Finn Andrews sembra riuscire tutto in modo così naturale, tanto da far sembrare facile incantare una folla (a dir la verità troppo piccola, avrebbe meritato molto di più un concerto di questa qualità) dividendosi tra due meravigliose Fender, un cappellone da amish che no toglierà mai, ed il piano, per suonare poi il primo bis solo sul palco, raccogliendo richieste, facendo battute e mettendo a nudo la sua anima in una sofferta e struggente versione acustica di Lavinia, per poi scuoterlo con una scarica di pura elettricità con Jesus For The Jugular. Tutto questo ha un nome, si chiama puro talento, ed io come in poche occasioni mi sono sentito in debito verso un artista su di un palcoscenico, di non conoscere tutte le canzoni a memoria per accompagnarlo nella sua esibizione. Ed invidioso di così tanta arte, in ogni momento, durante ogni canzone, dai passaggi più delicati a quelli più energici.
Di sicuro un concerto così, con così poco pubblico, ha da insegnarti molte cose. Che anche se farai qualcosa di buono, sarai già fortunato se qualcuno se ne accorgerà e, caso ancor più raro, verrà a dirti bravo. Che la grandezza di un uomo non si misura dal suo successo, che la vita non è una gara a chi vende più dischi, a chi raduna più persone ad un concerto, a chi piscia più lontano o a chi ha il pisello più lungo -no, dai, quella del pisello è vera-. Quello che ho visto quella sera di ormai un mese fa, tra tutte quelle emozioni, valeva molto più di tutto questo.

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