Okkervil River, Circolo degli Artisti, Roma [20.11.2008]

L’incipit è sempre lo stesso: io ed Ale arriviamo al Circolo con due ore d’anticipo, un po’ perché siamo ansiosi, un po’ perché ci muoviamo presto con il solito intento di starcene attaccati alla transenna. Io anche con la voglia di scattare tante foto. Ma, appena cominciato lo spettacolo, mi si avvicina la figura che tutti gli assidui frequentatori dei concerti temono: il tipo idiota della security. Al cui sviluppo dei muscoli ha sicuramente fatto da contraltare la conseguente riduzione del numero dei suoi neuroni, tanto da impedirmi dal fare foto scambiando la mia semi-reflex per un’apparecchiatura professionale ed il mio atteggiamento per quello di un vero fotografo. È un po’ come una nuvola fantozziana. Una volta che ti ha puntato, nella sua vita ci sei solo tu. I’m just a fan, i’m not a pro, i’m here, jumping and singing, can’t you seeee? Il risultato? Un’ulcera nervosa e solo due o tre fotine, di merda, scattate in fretta.

Ho questi ricordi in testa, li giro e li rigiro. Li faccio volare lungo tutta la serata di giovedì che ho trascorso al Circolo. Vorrei scriverne minuziosamente, dirvi di quando tutti abbiamo urlato sul finale di For real, del culo che la chitarrista faiga ha pensato bene di mostrarci ogni volta che si girava ed il suo minivestitino saliva, del tipo accanto a me che non conosceva nemmeno una canzone, dell’attesa ingannata ricordando di quando scrivevamo poesie per ragazze che non le avrebbero mai lette.
Ma c’è un’immagine che si è fissata sulle mie retine e non vuole sapere di andarsene, che cattura e devia i miei pensieri su quella sera, che li blocca ad un preciso momento, che li incolla lì sfocando tutto il resto. È un ricordo che non se ne va e che, ne sono sicuro, mi ossessionerà per parecchio tempo, come le dita impregnate della resina di un albero. C’è stato un momento in cui vi avrei voluti tutti vicino. O tutti lontano. Will Sheff anche era da un’altra parte. Solo voce, chitarre ed una tromba discreta. Per una manciata di minuti tutto si è fermato, tutti eravamo in assoluto silenzio ed il sottoscritto con la bocca spalancata per lo stupore, per l’incredulità. Quella di quando vorresti cantare, ma quello che ti sta di fronte copre tutto, ti riempie e ti isola dal resto. Sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa, ma io sarei rimasto lì, catturato, in un vortice, dove c’ero solo io, quella canzone meravigliosa ed i miei pensieri, quelli belli e quelli così così. Così ho deciso, in uno dei miei impeti di allegria sfrenata, che A stone (grazie per il video, chiunque tu sia) sarà la canzone che dovrà suonare al mio funerale.
Sono una persona molto emotiva, chi mi conosce lo sa. Sono uno di quelli che si commuove anche solo vedendo un film; alcuni direbbero che sono sensibile, altri che sono coglione. Lo so, è un mio limite e ci convivo, poco me ne importa. Hey, Will, non so se te l’ho detto, ma quando hai fatto quella canzone, così, in quel modo così intenso, mi hai riempito di gioia e dolore. Forse non te l’ho detto. Ma sono sicuro che quando i nostri sguardi si sono incrociati, ti sarai chiesto cosa fossero quegli occhi lucidi.




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