Io sono quello con la maglietta dei pearl jam

Cercavo di far finta di niente, ma se ne saranno accorti un po’ tutti (di sicuro la mia groupie preferita, vedere nei commenti al post precedente): non sto scrivendo. Ma non lo sto facendo per due buoni motivi. Mi sono avventurato nell’arte che mi riesce meglio, ovvero lanciarmi in attività fuori dalla mia portata, lontane dalle mie possibilità. Da bambino fantasticavo di trasformarmi nel Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, quand’ero adolescente sognavo di diventare un cantautore depresso e miliardario e a vent’anni avrei voluto cambiare il mondo. Invece questa volta ho un esame a fine novembre. Quello più importante, di quelli che ti possono cambiare la vita, che rientra a pieno titolo nella categoria missione impossibile. In pratica esco da lavoro solo per tornare a casa e piegarmi sui libri. Il secondo motivo, strettamente dipendente dal primo, è che la sera sono così stanco che tutto vorrei fare tranne che sedermi nuovamente davanti ad un pc, neanche per farmi un giro su youporn (penso sia indicativo). Naturalmente quel tutto vorrei fare sta per non-ho-voglia-di-fare-un-cazzo. Conseguenza con pesanti ripercussioni anche sulla mia vita sociale e passionale; primo fra tutti aver mancato un concerto per il quale sospiravo da mesi, quello dei Built To Spill. Ma non sono tornato qui per lamentarmi. Ogni mattina mi sveglio con lei accanto e per questo sono felice.
Ho aperto gli occhi questa mattina, con in testa le note di una canzone. I suoi arpeggi mi hanno fatto pensare che sarei subito dovuto correre a prendere la chitarra e buttare giù quelle semplici e meravigliose idee. Ho appena scritto una canzone meravigliosa, Elliott Smith sarebbe orgoglioso di me. Mo glielo faccio vedere io a tutti di quello che sono capace, che ispirazione che ho avuto. Indie folk kicks your ass. Ma in fondo non sono più un adolescente, e questo sogno è durato poco. Mi sono rilassato ed ho messo le cuffie del mio lettore emmepitre per svegliarmi meglio, giusto il tempo di scoprire che ‘sta canzone l’aveva già scritta qualcun altro.
Ho sempre avuto un debole per le canzoni che richiamano luoghi ben precisi, nomi di persone, orari, storie. Le ho sempre viste come caratteristiche che più avvicinano la musica ad essere come un libro. Ultimamente mi è venuta una paura fottuta del futuro e in fondo questa è una canzone che parla proprio di una certa “nostalgia del futuro, o di qualcosa che non hai mai vissuto” (parola di Conor Oberst, sì ancora lui). Anche se non sono proprio la stessa cosa, nella mia mente questi due sentimenti sono sempre stati legati da un sottile filo rosso. Il risultato è che alle mie orecchie, al mio cuore, al mio stomaco, in questi giorni questa è la canzone più bella dell’universo. È la prima in streaming,
qui.
Insomma, com’è come non è, fino alla fine del mese sarò impegnato con altri pensieri. Ci vediamo il venti al concerto degli Okkervil River. Io sono quello con la maglietta dei pearl jam.

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