S.O.S.

Vi è mai capitato di aiutare un collega in difficoltà, che se farlo avrebbe implicato stress aggiuntivo, ore di straordinario –ovviamente– non pagato e un senso di frustrazione dilaniante per aver passato il 25 dicembre recuperando quello che non eri riuscito a completare?
Beh, io l’ho fatto. Non perché sia un supereroe-senza-poteri (a meno che la volontà non sia da supereroi, oppure un superpotere), né perché abbia voglia di mostrare barra ostentare ai piani alti il mio impegno e valore. Per inciso, quest’ultima cosa l’ho già fatta e non è servita a molto, quindi stop, me ne sono pentito, capitolo chiuso e cambio di strategia: lavorare meno.

L’ho fatto perché “stiamo tutti sulla stessa barca”. Con queste parole ho spiegato al collega-pieno-di-lavoro la mia abnegazione, con il risultato di sentirmi rispondere con un lapidario “Ti sbagli”. Silenzio.
Poi ci ha pensato un po’ su ed ha aggiunto: “la conosci Titanic di De Gregori? Hai presente la prima strofa? Ecco quello che siamo in questa Società. Se è vero che stiamo sulla stessa barca, a che condizioni navighiamo?”. Non sapevo se si stesse riferendo alla società con la esse Maiuscola o minuscola, anche se ho il sospetto a quale delle due si rivolgesse e la personale convinzione che siano, oggettivamente e nella realtà, entrambe.
“Certo, la conosco…”, ho replicato, non sapendo cosa altro aggiungere e strozzando in gola, per una volta, il fiume di parole che avrei voluto far uscire sull’argomento, così tante da farle arrivare alle caviglie e poi alla gola e poi affogarli tutti.

In verità non lo ricordavo proprio quali fossero quei primi versi, anche se la canzone la conoscevo, ma ho mentito. In quel momento non sono stato sincero un po’ perché avrei dovuto saperlo data la mia sconfinata passione per la musica, un po’ perché avevo il sospetto che fosse una di quelle frasi ad effetto che hanno il potere di farmi diventare necessariamente li occhi luccicanti. Ed io odio commuovermi davanti agli altri –altri che non siano le persone a me più care-, perché è una cosa che mi fa sentire fastidiosamente e tremendamente vulnerabile. “Certo, la conosco…”, così da non indurlo a ripeterle davanti a me.

Appena tornato alla mia scrivania ho messo le cuffie, ho aperto il browser direttamente su YouTube e ho capito finalmente cosa volesse dirmi.

La prima classe costa mille lire,
la seconda cento,
la terza dolore e spavento…

I miei occhi hanno luccicato. Happy new tear.

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