Dai, dai, daai!

Arriva un momento nella vita di ognuno dedicato ai rimpianti: ovviamente si tratta di tempo sterile e sprecato, ma irrinunciabile. Per me è arrivato durante un’ordinaria giornata lavorativa, mascherato da fotografia e nelle vesti di una bambina sorridente.

Ho nella mente quest’idea, probabilmente distorta come un assolo di J.Mascis: immagino i miei colleghi, durante le ore passate a fissare il monitor, scrutare ogni tanto la foto del proprio figlio/a/i, rigorosamente impressa sul desktop, per darsi forza, coraggio e nuovo slancio e motivazione. Come a voler dire a se stessi di sorridere ed essere felici, anche se le cose sono complicate. Alcuni l’hanno avuto giovani, altri sono stati sfortunati, altri ancora meglio-tardi-che-mai.

Oggi ho sentito per la prima volta una fitta nel petto, del tutto inedita: no cari, non era un infarto (anche se per un po’ l’ho sospettato, dall’alto della mia ipocondria galoppante), ma una spiacevole sensazione di mancanza di qualcosa. O di qualcuno.
È pur vero che non potrei permettermelo, con un lavoro precario e due lire in tasca. Forse dovrei smetterla di pensarci, o forse dovrei solamente cambiare quella foto impostata come sfondo del mio pc. Perché tutti, per trovare ogni giorno nuova linfa durante il lavoro, hanno la foto dei propri figli: io ho lui. E non è bello.



p.s. di servizio: sembra che non stia scrivendo molto; ma se non lo rendo pubblico, non vuol dire che abbia perso il gusto e la voglia di esprimermi. In effetti non lo sto facendo con assiduità, ma sicuramente più che sul blog. Sperando che un giorno possa venire alla luce.

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