God is in the details (L. Mies)


Nei pressi dell’Università è pieno di appartamenti affittati, spesso in nero, a studenti, studenti-lavoratori, lavoratori-spesso-precari, insomma derelitti vari. Case vecchie ed arredate l’ultima volta nel 1914, prima che la Grande Guerra si portasse via i pezzi più pregiati, andati ad alimentare fuoco per riscaldarsi. Noi abbiamo un contatore dell’acqua retrò da archeologia industriale niente male, il nostro amico Pietro ha sopra la finestra del salone una specie di baldacchino (non so come si chiami in realtà, probabilmente il vocabolo che lo descrive è caduto in desuetudine da almeno centoventicinque anni). Ma non volevo scrivere dei palazzinari romani.

Volevo solo dire che credo che tra i venti ed i trent’anni tutti dovrebbero abbandonare la casa dei propri genitori. Indipendentemente dal rapporto di amore barra odio che si è instaurato nel tempo con loro. Nel mio caso togliete pure la prima parola per almeno uno dei due genitori, quello che mette il seme e poi nient’altro. Ma non è solo per questo che ho cercato all’esterno il mio rifugio. Se lo dicessi, tralascerei l’aspetto più importante: con chi sono andato a vivere.

Andarsene non è poi così difficile. L’impresa è piuttosto rendere la nuova casa accogliente, calda, in una sola parola viva. Diciamolo, da solo non sarei stato tanto bravo a farlo. Sarebbe diventato un nido nel quale mi sarei orientato solo io. Colorato, certo, ed ordinato esteriormente, ma internamente caotico. E da solo avrei trovato più cadute, al massimo innestato un pilota automatico, risucchiato in quattro mura con poco evidente entusiasmo.

A vent’anni sognavo di scappare presto, in un luogo pieno di creatività e povero di incomprensioni. A volte riempivo lo zaino per andare all’Università come se non dovessi tornare mai più; c’era di tutto, o almeno quello che credevo fosse l’indispensabile: il walkman, la custodia con almeno un decina di cd, la videocassetta (essì, nel duemila ancora non avevo il lettore dvd) del mio film preferito, una manciata di libri, carta e penna. Mancavano i soldi. Per questo tornavo sempre. A pensarci bene, a pensarci ora, a vent’anni ancora avrei dovuto imparare un sacco di cose. Dopo un po’ di anni ho capito che non averlo fatto subito, per lo meno non averne avuto la possibilità, mi stava logorando dentro. Ora sono sicuro che se avessi varcato quella soglia allora, a questo punto sarei più sereno e non mi sarei intossicato l’anima. Ma sono altrettanto certo che comunque mi sarei sommerso in disillusioni varie e avrei sviluppato idiosincrasie a go go, ché in questo sono bravissimo da solo, ci sarei riuscito in uno sbatter di finestre. Ma la vita ci riserva sorprese, passaggi inesplicabili, tutto un intrecciarsi di eventi che mi hanno condotto qui, ora, con lei. Che senso ha allora andare a rievocare gli eventi che ci hanno fatto soffrire? I ricordi dolorosi dovrebbero rimanere nascosti, ancorati ad un nostro io passato.

Dicevi che ogni luogo avresti avuto difficoltà a sentirlo un po’ tuo, ma che in fondo era meglio così, che così non avresti più provato quel senso di nausea tremenda al distacco. Tutte balle, tutte scuse per fare il grand’uomo, riflessi di un cucciolo messo in un angolo che pateticamente ruggisce.
Ed ecco che quando ho deciso di andare a vivere “da solo”, l’ho fatto per due buoni motivi: l’incompatibilità della vita domestica (e non solo) tra me e la mia famiglia, la normale voglia di essere indipendente, ma soprattutto il desiderio di condividere tutto questo con un’altra persona. Perché altrimenti non sembrerebbe niente di sconvolgente, e probabilmente non starei neanche qui a parlarvene. Le chiavi sono sempre lì, appena entri, sulla destra, le posi automaticamente. Niente di speciale, ecco. I doveri e le responsabilità, anche. Cose che fanno tutti. Ma la mia storia è diversa. Agli occhi degli altri, me ne rendo conto, può sembrare banale e bellissima come tante. Quella di crescere in qualche modo, costruire qualcosa, ma farlo a quattro mani, sottobraccio.

Forse non vi sarà tutto chiaro in quello che ho scritto, vi mancheranno alcuni passaggi. Ma non importa.
In fondo questo post è per lei, amore della mia vita, complice delle mie giornate e coinquilina. Per dirle che quando abbiamo appeso insieme questi due poster in camera ho sentito dentro qualcosa, quello che gli altri chiamerebbero sentirsi a casa, ma che io chiamo felicità.

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