
Forse non c’è molto in quest’opera, piena di episodi da tasto skip. Forse dovrei considerala per quella che è: una raccolta disordinata di canzoni scritte e composte con uno strumento insolito, un po’ per divertimento, un po’ per una certa urgenza espressiva che non riesco molto a comprendere. Ma se prendo singolarmente le tracce, riesco a scoprire che in realtà mr. Vedder mi ha offerto molto di sé: pezzi del suo cuore sparsi alla deriva nel mare dopo la fine dolorosa di una relazione, approdano alle Hawaii e lui sulla spiaggia che cerca di rimetterli insieme, tenendoli tra loro con le corde intrecciate di un ukulele, donando poi alla musa della sua rinascita la scultura un po’ confusa che ne è venuta fuori.
Durante il primo ascolto, a metà disco, stremato, ho fatto un salto a piè pari fino alla fine (il resto poi l’ho recuperato, lo giuro). Anche se la cover di Dream a little dream sembra più che altro un divertissement, non mi ha lasciato indifferente. Vorrei avere quelle corde vocali da crooner per dedicarla al mio amore. Nel tono della voce di Eddie c’è poi una boria inedita: canta quel testo, ma in realtà sta dicendo con sicurezza “amami… perché, hey piccola, come riusciresti a non amarmi?”. E mi ha disegnato un sorriso sul volto. Ci saremmo fatti un sacco di risate se glie l’avessi cantata io così. Non sarebbe stato un bel regalo?
* hey matafahkah, che du cojoni ‘sto ukulele.
- Longing to belong [video]