Siamo troppo suggestionabili, infantili ed interpretabili, siamo troppo suggestionabili
Some useless words to my dear friend Peter
Sono contento che ti sia voluto sfogare sul mio blog.
Quante volte abbiamo parlato del tuo lavoro come di un’attività psicologicamente logorante? Ma, in tutti questi anni, quante persone sei riuscito ad aiutare e soprattutto quanti, grazie al tuo sforzo, si sono sentite meno sole?
Ti immagino, vicino al ragazzo rumeno, con l’istinto e la voglia di abbracciarlo. Io, solo a leggere questa storia, mi sono sentito un morso al cuore.Quanta dignità, quanta forza e quanto coraggio! Dovrebbero servirci da insegnamento di fronte alle difficoltà.
Il mio blog ha come sottotitolo “vogliamo il pane, ma anche le rose”, ed è uno slogan usato dalle operaie tessili del Massachusetts in sciopero per settimane nel 1912 per richiedere a gran voce migliori condizioni di lavoro. Ma non pretendevano solo di poter mangiare (il pane), non era solo questo lo scopo della loro protesta. Volevano anche le rose, perché nella vita non è solo necessario poter mangiare per vivere, ma lo sono altrettanto le passioni, la poesia, la musica. Sono il necessario. Tu non hai niente di troppo, ma è quel ragazzo ad essere stato derubato dei suoi sogni. È facile e pericoloso rovesciare questa logica, è questo che ci fa sentire terribilmente a disagio con certe storie. Quello che hai tu, ti è dovuto, e non devi sentirti neanche fortunato. È quello che ti spetta, è quello che ti sei meritato e guadagnato con il sudore e con tanti sacrifici. Come sicuramente quel ragazzo che hai conosciuto.
p.s. ci vieni al concerto? c'è anche G. No, non farti troppe illusioni, non cercare di capire a quale stupenda femminona appartenga questa misteriosa iniziale. Trattasi di un tuo amico, nonché cugino di Franca.
Produzioni seriali di cieli stellati

Scusate l’euforia, ma cercavo di darmi un po’ di entusiasmo da solo, perché il Vasco dei poveri qui, te lo toglie tutto. Mai ascoltato un cantautore più depresso e deprimente; una specie di cantautorato punk. Però, cazzo, è proprio bravo.
È un poeta, di quelli maledetti. Di quelli che raccontano storie che farebbero impallidire i personaggi dei libri di Irvine Welsh. Si fa infiammare le corde vocali, dalle sigarette e dalle grida che sputano parole amare sulle oscenità e sulle violenze psicologiche, e non, che lo circondano. Ma lo fa con una poesia decadente che mette in fila perle di spessore invidiabile. Con i suoi testi pieni di ardore ti porta in una vita tossica che brucia vissuta ai margini, consumata nei paesaggi industriali di periferia e nell’immaginario consueto e desolante che creano. Storie a volte senza redenzione, il tempo è cadenzato, costante nei gesti estremi e spesso nichilisti, in un’esistenza continuamente passata a sentirsi la terra franare sotto i piedi. Disillusioni lontane anni luce dalla mia vita. Rabbia e disperazione densa, che Le luci della centrale elettrica (bello come nome, vero? senz’altro evocativo) ti sbatte nelle orecchie senza chiedere scusa.
n.b. da evitare come la peste, o come le rotaie del tram quando si è sulla motoretta (lo dico per esperienza), insomma assolutamente, se si è già in una fase vorrei-tagliarmi-le-vene, perché Brondi vi darà le motivazioni per farlo veramente.
Dopo questa solare presentazione, vi dico che l’11 giugno suonerà al Circolo. Chi viene con me?
Alla fine non sono stato al concerto dei dinosauri e non me ne pento neanche un po’
Ironico, arguto, intelligente, dissacrante, sensibile, l’altra sera se ne stava su quel palco a farsi fotografare con duemila persone -o quasi- sullo sfondo. E mentre lo faceva indicava noi, ecco i miei amici.
Potere e forza della parola scritta riunire così tante persone gioiose. Anche se all’ombra della Basilica di Massenzio, in mezzo a tanta comunicatività, c’era veramente il rischio di passare tutto il tempo ad ammirarla illuminata, invece di osservare i protagonisti della serata.
Lui, per tre quarti d’ora, legge versi come sempre taglienti presi un capitolo del suo nuovo libro, si siede a fumare quando suona il gruppo che musica la serata, ironizza su se stesso e sulle sue opere, saluta, si inchina e se ne va.
Stending ovèscion d’obbligo e sorrisi a trentasei denti.
Facile facile. E così emozionante.
Scrivere di musica è come ballare d’architettura (cit.)
Se siano stati più saggi o più pazzi, decidetelo voi.
n.b. se siete un dirigente di una major e state leggendo, siete tutti bravissimi e competenti e simpatici e sicuramente avete anche molti capelli e siete virili.